A mente fredda, ora posso raccontare una cosa che mi ha fatto imbufalire e della quale è stato testimone un mio collega, amico e vecchio compagno. Vengo contattato da un amico, non medico, con la preghiera di dare un’occhiata ad un documento programmatico sulla sanità in Campania, scritto da un pincopallino in un partito X. La richiesta già presupponeva, da parte del mio amico, qualche perplessità, ma io, come sempre faccio quando mi chiedono pareri, ho letto questo documento. Pura aria fritta, senza una valutazione di quanto, nel bene e nel male, è stato fatto o non fatto dalla giunta presente, con un elenco interminabile di problemi, notissimi, da risolvere, e con zero suggerimenti su strategie, linee di intervento, ed ordine di priorità conseguenziali. Una roba da mettersi le mani nei capelli. Senza idee, e senza passione. Sciatteria ed indifferenza totale nascoste neanche bene nel politichese più tradizionale. Dopo aver letto questo schifo ho chiamato il mio amico e gli ho manifestato la mia rabbia di fronte non tanto alla sciatteria di chi ha di fatto steso il documento, ma a quella di chi gli ha chiesto di farlo e gli ho chiesto anche di farmi capire da che cosa si potesse desumere che quello era un documento proveniente da una forza di sinistra e non da Salvini o Di Maio o anche Renzi. Non si poteva capire.

Allora, mi chiedo, a chi stiamo affidando la definizione delle nostre strategie? La sinistra continua a struggersi in liturgie senza senso, la scrittura di documenti che possono si e no rimanere su una scrivania, forse letti da un paio di persone, per la durata di una giornata. Senza capire che non si può continuare ad elencare con fatalistica monotonia le cose che non vanno, invece di identificare linee di intervento e priorità.

Ma, specialmente, non si può chiedere a professionisti che le mani se le sono sporcate e pure tanto, di farsi carico di tracciare piani strategici che poi non saranno non dico valutati, ma nemmeno visti da nessuno. Ed allora ci si affida a persone senza competenza, senza storia e senza anima.

La sinistra, dando per scontato che esista un vasto elettorato che vorrebbe guardare a sinistra, dovrebbe riappropriarsi della capacità di proporre un modello di società in cui esigenze individuali non cozzino contro esigenze collettive, individuando, senza tener conto dei sondaggi, strategie di intervento adatte a perseguire i modelli proposti in un tempo ragionevole, ma certamente, date le condizioni al contorno, non brevissimo. E cercando di inculcare il principio sano, ma ormai evanescente, che l’individuo sta bene se sta bene la collettività intera, che il benestante può godere del suo benessere se quelli che benestanti non sono vengono messi nelle condizioni di vivere comunque una vita decorosa, e di usufruire dei servizi vitali che tutta la collettività deve mettere a disposizione, indipendentemente da reddito, censo, sesso, razza e religione.

Se mi si chiede di modulare un documento sulla sanità, certo io devo fare un elenco dei problemi, ma devo anche capire da dove posso e devo partire. Perché, per essere efficaci ed efficienti, gli interventi non devono essere prodotti senza gradualità. Per ottenere l’effetto x attraverso l’intervento su y, io devo prima aver risolto il problema z, altrimenti l’intervento y non produrrà mai l’effetto x perché la sua operatività sarà impedita dalla persistenza del problema z. Non è difficile da capire. E mai come sulla sanità, questa sequenzialità è critica e non può essere disegnata su un arco temporale che investa una sola legislatura, probabilmente. Ed è esattamente su questo che si misura la differenza tra un politicante, un politico ed uno statista.

Un politicante afferra qual è il problema che al momento tocca più la pancia delle persone e si adopera per comunicare la soluzione di quel problema. Attenzione, non per risolverlo, perchè sarebbe verosimilmente impossibile, ma per comunicare che lo si sta risolvendo. In altre parole, prende per il culo, ma la comunicazione efficace ne impedisce la percezione diffusa. Il politico comprende la gravità del problema e cerca di attenuarne le conseguenze, evitando di pagarne personalmente scotti esagerati. Lo statista scava nelle origini del problema, ne identifica le cause, eventualmente identifica provvedimenti tampone, ma, specialmente, disegna le strategie di intervento in modo propedeutico, sapendo che la soluzione definitiva richiederà tempo e che lui con tutta probabilità non ne beneficerà. In altri termini, lo statista se ne fotte dei sondaggi e persegue le sue strategie sul modello di sviluppo sociale ed economico che ha in mente.

Restando sulla sanità, a livello nazionale abbiamo finalmente un buon Ministro, con idee che io largamente condivido, ma non riesco a vedere ancora un disegno di intervento strategico, né capisco se tale disegno esista. Ho già scritto su questo giornale dei problemi che la medicina d’urgenza ha a livello dei Pronto Soccorsi (PPSS). Il Ministro ha messo in atto un provvedimento molto intelligente, che tenderebbe a potenziare gli studi dei medici di medicina generale e le guardie mediche, una mossa che a regime deve necessariamente ridurre la pressione sui PPSS, immaginando che molti codici bianchi e verdi possano essere risolti a livello di medicina di base. Idea quindi ottima. Dov’è però che l’idea diventa velleitaria? Lo è nella sua applicabilità pratica, per due ordini di motivi.

Prima di tutto, potenziare tutti i presidi di base con elettrocardiografi, pulsossimetri ed ecografi palmari richiederebbe uno sforzo economico gigantesco, che sarebbe affrontato senza uno studio alle spalle che dimostri da un lato la fattibilità e dall’altro l’esito migliorativo nell’ambito dell’urgenza-emergenza. Non sarebbe più opportuno identificare due regioni campione (od anche aree più ristrette), una al top dell’efficienza ed una al top dell’inefficienza e cominciare a vedere quali risultati ci si può attendere in un arco temporale di due o tre anni agli estremi della scala?

Il secondo motivo è legato all’addestramento del personale medico ed infermieristico. I medici di medicina generali non sono preparati per assumere la responsabilità di una valutazione così complessa come quella che deriva da un esame ecografico eseguito con un palmare od anche dalla lettura di un elettrocardiogramma. Ma, aggiungo, non lo sono nemmeno molti dei nostri specialisti in Medicina Interna o, in qualche caso, di Medicina d’Urgenza. Quindi, perché le risorse messe a disposizione di un tale piano di rinnovamento che, ripeto, mi trova perfettamente d’accordo, possano essere messe a frutto, è necessario pensare ad un piano di riqualificazione professionale di tutto il personale medico ed infermieristico impegnato sul territorio. Si può fare, ma certamente non in un paio di mesi. Bisogna immaginare diversi piani di intervento che coinvolgano non solo il ministero della salute, ma anche quello dell’Università e della Ricerca e, verosimilmente anche quello dello Sviluppo Economico, perché contestualmente alla riqualificazione del personale già operante bisognerà rivedere anche i curricula del personale nei percorsi di formazione universitaria. E lo si dovrà fare, avendo anche il coraggio di rompere certe barriere corporative che sono state e sono anche fonte di sprechi inimmaginabili.

Ecco. Il Ministro Speranza non è un politicante. E’ una persona con una sana preparazione politica, quello che ci vuole in ministeri chiave che richiedono scelte politiche. Ma è evidente che dovrà essere molto accorto a disegnare una strategia di interventi a lungo termine che consentano di riportare il nostro sistema pubblico ad un livello per il quale si potrà di nuovo essere fieri, evitando interventi pur importanti e necessari, ma che fuori da un solido quadro programmatico avranno respiro corto.