Il New York Times del 12 Marzo ricostruisce la situazione nel mondo. A me preme sottolineare quello che sappiamo della Corea del Sud. A differenza di altri paesi con gravi focolai, la Corea del Sud, che ha una popolazione di 51 milioni di abitanti, non ha completamente limitato i movimenti dei suoi cittadini. Ovviamente anche là è stato attuato un sostanziale contenimento di tutte le manifestazioni che radunino molte persone, incluse quelle religiose, anche all’aperto, e le scuole sono chiuse.
Ma il paese si è straordinariamente concentrato sul monitoraggio aggressivo delle infezioni. Sono stati segnalati oltre 7.900 casi e 66 decessi (cioè con un tasso di fatalità dello 0.8%).

Contrariamente alla maggior parte degli altri paesi, sulla base dei loro rapporti, in Corea del Sud, l’incidenza di nuovi casi ha cominciato a rallentare.

Più di 235.000 persone sono state testate e funzionari sanitari hanno accuratamente rintracciato le persone che potrebbero avere sintomi (non solo i sintomatici, quindi), testando più di 10.000 persone ogni giorno. In altri termini su 235.000 tamponi, fatti pure per strada, senza nemmeno far scendere dalle auto i passeggeri (drive-through testing centers), sono stati isolati, al 10 marzo, circa 7.900 infetti, un numero che è cresciuto fino a 8.162 al 15 marzo (con un tasso di crescita medio di 52 casi al giorno negli ultimi 5 giorni, che conferma il trend in veloce discesa). Quindi, stando a questi numeri, l’incidenza cumulativa della malattia dovrebbe essere stata al 10 marzo di 336 casi per milione di abitanti. Alle 235.000 persone testate fino al 10 marzo, dovrebbero aggiungersene altre 50.000 testate fino al 15 marzo, che porta il numero di contagiati a 286 per milione di abitanti. Se i numeri forniti sono corretti, l’epidemia è quindi in una fase di contenimento molto soddisfacente.

I funzionari del Ministero della Sanità Coreana hanno introdotto campagne molto aggressive di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, inviando avvisi di telefonia mobile ai cittadini ogni volta che viene segnalato un nuovo caso nei loro distretti. Vengono continuamente forniti aggiornamenti sui siti Web governativi e sulle app mobili su quante persone sono state testate e dove. Vengono fornite persino indicazioni su ogni paziente positivo al test: il loro sesso, come sono stati infettati e dove vengono trattati, nonché i luoghi che hanno visitato prima del test positivo. Sono stati anche adottati strumenti di controllo personale, con importanti effetti sulla privacy, che da noi sarebbero impossibili.

Io continuo a pensare che le misure di contenimento generale adottate gradatamente dal nostro governo siano state adeguate, ma penso anche che oltre non si possa andare, perché il prezzo pagato dal paese è già elevatissimo e certamente non possiamo immaginare aggressive violazioni della privacy individuale. Credo però che una strategia di estensione di controlli come quella adottata dalla Corea del Sud possa ancora essere perseguita anche in Italia, in aggiunta alle necessarie misure di contenimento generale, specie nelle regioni che ancora non sono sommerse dall’epidemia. L’esperienza coreana dimostra che allargando in modo coordinato e programmato il numero di campionamenti per inseguire il virus, si possono ottenere ottimi risultati.

Io credo che questa scelta dovrebbe, a questo punto, essere implementata anche in Italia per fare un ulteriore passo avanti e potrebbe essere critica nelle regioni che hanno un tasso di contagio ancora contenuto. Al Policlinico Federico II di Napoli, in conseguenza delle limitazioni imposte dalle direttive Aziendali e Regionali relativamente alla tipologia di pazienti a cui effettuare il tampone, la Prof. Maria Triassi, il Prof. Giuseppe Portella ed il Prof. Francesco Beguinot hanno lanciato un protocollo di ricerca che di fatto, all’interno dell’ospedale, sta adottando la strategia Coreana, identificando e testando tutto il personale che ha avuto contatti con colleghi o pazienti successivamente trovati positivi. Una iniziativa molto intelligente che potrà fornire informazioni importanti.

Secondo me questa dovrebbe essere la prossima mossa, a livello di tutto il paese, od almeno nelle regioni in cui l’incidenza cumulativa di casi gravi non è così drammatica come in Lombardia ed Emilia-Romagna, e dove è possibile che queste misure possano aiutare il contenimento dell’epidemia. Come più volte detto, noi non possiamo fermare questa epidemia ma possiamo rallentarla per far sì che non annichilisca il servizio sanitario.

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