La pandemia da virus SARS-CoV2 ha messo a nudo i drammatici limiti del nostro equilibrio economico-sociale, della globalizzazione, dell’attenzione quasi esclusiva al profitto, e sta mettendo al tappeto la nostra economia, e quella di tutto l’occidente industrializzato. In Italia la situazione è particolarmente pesante dato il nostro vertiginoso debito pubblico.
Ci sono alcuni provvedimenti che potrebbero essere messi in campo, una volta raggiunto il plateau dell’epidemia, intervenendo per tempo su alcuni aspetti critici che consentano una graduale ripresa della produzione.

Presìdi di protezione individuale

Innanzitutto, noi dobbiamo riprendere la produzione dei presidi sanitari di protezione individuale, anche se la loro efficienza remunerativa è bassa.
Ci sono ora una cinquantina di aziende italiane che hanno ripreso la produzione, ma i processi di validazione dei prodotti sono troppo lenti e farraginosi (una sola azienda ha ora l’autorizzazione a commercializzare). Velocizzare il processo di autorizzazione alla commercializzazione, identificando i colli di bottiglia e rimuovendoli, è una priorità assoluta

Nell’emergenza attuale, bisogna promuovere la riconversione, a livello nazionale, di altre aziende del comparto tessile, aiutando finanziariamente la riconversione e garantendo un prezzo controllato ma nello stesso tempo un corretto margine di guadagno. Armani lo ha capito in tempo. L’industria dell’abbigliamento di lusso è destinata a rimanere al palo per un periodo di tempo molto lungo e, quindi, una riconversione verso materiali di primaria utilità può essere utilissima al paese e, nel contempo, limitare le inevitabili perdite e mantenere un discreto livello di occupazione. Ad emergenza finita, bisognerà che le aziende riconvertite possano tornare alle produzioni tradizionali, conservando però la possibilità di riaprire in tempi rapidissimi le catene produttive emergenziali. Sarebbe utile, però, che il fabbisogno nazionale standard venisse mantenuto.

Questa riconversione dovrebbe essere molto incentivata, anche sul piano fiscale, specie per mantenere un livello salariale adeguato. Non credo, comunque, che ci si possa aspettare, nel breve-medio termine, di provvedere al fabbisogno nazionale nel contesto di un’emergenza come quella che il paese sta attraversando, ma, almeno, se si agisce subito, è possibile che in pochi mesi si possano produrre presidi sufficienti per gli operatori sanitari, il nostro bene più prezioso, per chi sta lavorando in questo momento, e per chi potrà e dovrà tornare gradatamente alla produzione. Perché la produzione possa riprendere è necessario programmare una ristrutturazione industriale ad ampio raggio, per settori di intervento strategico, in modo tale da rendere gli ambienti di lavoro sicuri, garantendo livelli adeguati di protezione individuale, mediante dispositivi di protezione individuale e revisione di alcune catene di montaggio, allo scopo di operare un distanziamento efficace tra gli addetti ai lavori.

Monitorizzazione  a lungo termine del contagio.

Infine, fino a quando la pandemia non sarà dichiarata estinta secondo i criteri fissati dall’OMS, iniziata la fase di plateau, è necessario, ora più che mai, tenere il contagio sotto stretta osservazione. Alle misure di contenimento e di distanziamento sociale, che vanno rigorosamente mantenute, andrebbero aggiunte misure di monitorizzazione dell’epidemia, evitando una dissennata estensione dell’uso dei tamponi od altri presidi diagnostici, senza aver definito bene obbiettivi e criteri.

Io credo che un criterio efficace sia la ricerca dei clusters, come è stato di recente dimostrato, per il momento affidandosi ai tamponi, che malgrado la non eccelsa sensibilità sono gli strumenti più sicuri che abbiamo a disposizione. I tamponi potrebbero essere eseguiti in tutte le persone che presentino almeno 2 sintomi frequenti od un sintomo frequente associato a due sintomi meno frequenti (vedi tabella), compatibili con COVID-19, segnalandolo telefonicamente al medico di famiglia.

Una volta identificati i portatori sintomatici di SARS-CoV2, bisognerebbe procedere all’identificazione della prima linea del cluster, cioè dei contatti a rischio fino ai due giorni precedenti l’inizio dei sintomi, utilizzando tutti i mezzi legittimi che si hanno a disposizione, verbali ed elettronici (telecamere). Una volta identificata la prima linea del cluster, bisognerebbe passare alla seconda linea, e così via fino al completamento ed alla chiusura del cluster.  Tutte le persone del cluster che risultassero contagiate andrebbero poste in quarantena.

Poiché uno dei motivi di non brillante sensibilità dei tamponi è la finestra temporale (oggi sono negativo, ma magari domani sono diventato positivo), per maggior precauzione potrebbe essere programmata la ripetizione del tampone a distanza di 48 ore per tutti gli individui del cluster che risultino negativi. Non c’è prova che un soggetto temporaneamente negativo al tampone possa essere contagioso come uno positivo. Uno schema del genere è, quindi, abbastanza garantista anche per le aziende che riapriranno. L’estensione dei tamponi sulla base di un programma come quello suggerito nelle righe precedenti è ben diverso dai campionamenti senza programmazione né disegno coerente fatti a macchia di leopardo, in questo momento, nelle singole regioni.

Naturalmente, altri criteri altrettanto robusti potrebbero essere seguiti, ma l’importante è che tutte le regioni vi si adeguino. In aggiunta all’inutilità di molti provvedimenti, quello che le Regioni sottovalutano o francamente non capiscono è il danno prodotto alla piena comprensione delle dinamiche dell’ epidemia, indotto da comportamenti scollegati da una logica comune, con l’immissione di “rumore” nell’analisi dei dati.

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