La Prima Pietra

Non si va in pronto soccorso se si può evitare

Un mio conoscente quarantenne è andato in pronto soccorso (PS) in uno dei presidi della mia città, Napoli, per un forte mal di testa cominciato il giorno precedente e non risolto con antidolorifici da banco. Il PS, alle 21:30, era pieno di gente che aspettava di essere vista. Al triage, gli hanno assegnato un codice giallo e dopo 90 minuti è stato visitato da un medico, che ha prescritto una TAC senza contrasto, eseguita dopo due ore di ulteriore attesa, e risultata negativa. Tempo di permanenza in PS: 3 ore e mezza. Non male rispetto a quello che succede in altre situazioni.

Una delle emergenze più gravi del nostro Sistema Sanitario riguarda i Pronto Soccorsi. Ci sono quattro criticità di cui bisognerebbe prendersi carico: l’affluenza, lo smistamento, la formazione e gli organici.

Non è un problema solo italiano, naturalmente, ma in Italia il deterioramento delle condizioni operative ed in alcuni casi del servizio offerto ai cittadini ha raggiunto livelli critici.

Il 19 Novembre di quest’anno, l’organo ufficiale dell’American College of Emergency Physicians, ACEP Now ha pubblicato un interessante articolo dal titolo “How to Solve Emergency Department Overcrowding (Come risolvere il sovraffollamento del pronto soccorso)” (https://www.acepnow.com/article/how-to-solve-emergency-department-overcrowding/?fbclid=IwAR3EPA66bLTpB-nhXyhSoJRfMtm1nv8-f5KDomffmQ2vfQJCdDMiQtGnp44). Il pezzo si apre con l’episodio di un giovane uomo morto di shock settico dopo un’attesa di 34 ore in PS, un episodio che ha messo insieme le criticità che investono i pronto-soccorsi. Anche nel nostro paese, che è considerato uno dei migliori al mondo per il servizio erogato.

Senza la pretesa di offrire facili soluzioni, ma sulla base della mia esperienza quarantennale di professore di medicina d’urgenza, il mio contributo ha lo scopo di sottolineare che il problema è di sistema e richiede una serie di interventi coordinati, che possono funzionare solo se messi in essere insieme.

L’affluenza

I tempi medi di attesa in PS sono molto diversi e vanno da una a nove ore, in relazione specialmente alle dimensioni dell’ospedale e delle località, essendo in generale più lunghi nelle grandi città.

Nei PS dovrebbero arrivare persone che stanno veramente male. Ed invece l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas), sulla base di dati del 2017, ha segnalato che i codici bianchi sono stati il 13% del totale degli accessi e quelli verdi addirittura il 63%! Le persone che hanno veramente bisogno di attenzione urgente sono il 24% di tutti gli accessi e di questi solo meno di 2 persone su 100 sono in imminente pericolo (codice rosso) (https://pne.agenas.it/PNEed16/emur/emur_acc.php). In alcuni Ospedali il tempo di attesa in PS, cioè il tempo che corre tra la registrazione al triage e la visita, può arrivare anche alle 7-8 ore per un codice giallo, cioè per una persona che ha bisogno quasi sicuramente di ricevere cure, cosa che può succedere quando un PS è preso d’assalto, per esempio, durante il picco dell’epidemia influenzale stagionale. Il sovraffollamento dei PS è dimostrato essere associato a più errori medici, ad aumento della durata della degenza, ad esiti peggiori e riduzione della soddisfazione del paziente, ad aumento dello stress e ad episodi di violenza contro il personale.

L’intasamento dei PS, ed in una certa misura anche dei reparti di Osservazione Breve Intensiva (OBI) comporta un intasamento dei servizi deputati ad aiutare le decisioni cliniche, laboratori e radiologia. Se ogni persona con mal di testa si presenta in PS, fatalmente, e conseguenza della medicina difensiva alla quale siamo costretti da altre dissennate campagne, il servizio di radiologia sarà bloccato da un numero elevato di richieste di TAC e risonanza magnetica. E le permanenze in PS si prolungheranno. Benchè, in genere, la permanenza non supera le 12 ore, a volte questa permanenza in PS si prolunga anche oltre le 24 ore.

Lo smistamento

L’affollamento dei PS porta fatalmente all’aumento degli accessi in OBI ed il trasferimento nei reparti appropriati diventa un ulteriore collo di bottiglia specie in alcune zone del paese, come la Campania, che ha subito un draconiano taglio dei posti letto, in assenza di una reale programmazione e previsione degli accessi. La popolazione invecchia implacabilmente. Le persone anziane che si presentano in PS hanno patologie multiple che richiedono un coordinamento di differenti professionalità. Logica vorrebbe che si potenziassero i posti letto e gli organici di medicina interna, di terapia intensiva e rianimazione, di geriatria e di chirurgia generale, ma anche di ortopedia e di atre branche chirurgiche veramente specialistiche, sacrificando altre specialità che raramente richiedono un ricovero che non possa essere gestito in un reparto di medicina interna o di chirurgia generale. Perché il PS di un ospedale ad elevato traffico è costretto a mantenere pazienti sulle barelle, mentre ci sono ancora reparti dove sono ospitati pazienti che avrebbero potuto tranquillamente essere studiati in un regime ambulatoriale efficiente od in un percorso diagnostico-terapeutico (PDTA) programmato ad hoc?

La formazione.

Perché tanta gente non utilizza gli strumenti che il Servizio Sanitario mette a disposizione, medici di famiglia e guardia medica? Le risposte sono semplici. Perchè non si fidano e perché, a volte, pensano di saltare le liste d’attesa (argomento del quale non discuterò in dettaglio perché porterebbe molto lontano). Dunque, il primo intervento che dovrebbe essere messo in essere dovrebbe riguardare necessariamente il potenziamento della medicina generale di base e dei servizi di guardia medica. Un medico di famiglia che abbia la responsabilità della salute di 1000-1500 persone, spesso di età media avanzata, ed armato solo del suo stetoscopio e di uno sfigmomanometro, non può obbiettivamente far bene il lavoro che il contesto attuale richiederebbe. Se una persona anziana lo chiama e gli dice che ha un dolore in petto, cosa si pensa possa fare se non mandarla in PS? Ovviamente, se solo avesse la possibilità di eseguire una valutazione della saturazione di ossigeno nel sangue, un elettrocardiogramma (ECG) ed una ecoscopia, sarebbe tutto molto più semplice.

Il Ministro della salute ha cominciato, per la prima volta a mia memoria, a focalizzare questo problema ed ha cominciato ad andare in questa direzione. Ma non basta. I medici di medicina generale non possono essere caricati, da soli, della responsabilità di interpretare ECG ed ecoscopie. Bisogna quindi realizzare infrastrutture che consentano la comunicazione in tempo reale con centri di lettura ed interpretazione, cosa resa semplicissima da un punto di vista tecnico già dalle reti 4G. Con un costo contenuto oggi è possibile avere strumenti di alta tecnologia ed elevata connettività.

Ma ovviamente bisogna addestrare tutti all’utilizzo di questi strumenti. Un duro attacco, senza costrutto ed orientato principalmente a diffondere panico ed incertezza, è ora in edicola con Panorama, a cui ha risposto molto opportunamente il Ministro Speranza (http://www.doctor33.it/politica-e-sanita/medici-ignoranti-le-accuse-mediatiche-di-scarso-aggiornamento-accendono-la-discussione/?xrtd=YYYRYASCSLARPSSCARLACL). Il settimanale denuncia il fatto che il 46% dei medici non è in regola con i programmi di educazione medica continua, a cui tutti sarebbero obbligati. Naturalmente non ci si chiede perché, né ci si domanda se le regole imposte dalla legge siano sensate, in un contesto in cui le possibilità di aggiornamento sono enormi e non necessariamente legate a tempi contingentati. Persino sui social media ci sono gruppi di lavoro che provvedono un costante aggiornamento agli iscritti, di qualità superiore a quello che si può ricevere in molti dei minicorsi spontanei che si fregiano dell’etichetta ECM (educazione continua in medicina), tenuti il più delle volte non esattamente da opinion leaders, ed il cui ottenimento è solo una formalità burocratica.

Nei 20 differenti percorsi per le Scuole Regionali di Medicina Generale, frutto del regionalismo differenziato (come se un MMG piemontese fosse diverso da un MMG pugliese), raramente vengono previsti addestramenti all’utilizzo di strumenti che possono facilitare diagnosi e decisione. In Campania è prevista un’Area Tematica di Informatica ed Innovazione Tecnologica (che sarebbe un bene in linea teorica), ma purtroppo inserita in un contesto appesantito da miriadi di aree tematiche di non immediata utilità per il lavoro che questa tipologia di medico deve svolgere (https://personalessr.regione.campania.it/pages/tutormg/tutormg.index.php).

Per il MMG non è tanto importante conoscere la terapia di un linfoma non-Hodgkin, quanto invece capire subito se un mal di pancia dipende da un’appendicite acuta, da una colica renale o magari da un problema vascolare. Gli strumenti che il Ministro Speranza vuole mettere a disposizione sono un grande passo avanti, purchè questa piccola rivoluzione venga completata da adeguata formazione e adeguate infrastrutture tecnologiche.

Anche la formazione dei Medici di Urgenza può essere migliorata, ma bisogna afferrare il toro per le corna. Bisogna capire che questa formazione deve avvenire sul campo, nei PS e non nei reparti di degenza. Negli Atenei dove il PS non c’è, come a Napoli, Federico II, la formazione deve avvenire in gran parte negli Ospedali. Tuttavia, un buon medico d’urgenza deve essere necessariamente un buon internista, benchè fornito di strumenti logici ad estrazione rapida, diciamo. Ecco perché, io ritengo che, alla prova dei fatti, una specializzazione in Medicina d’Urgenza (che io sono stato tra quelli a volere fortemente, ma chi non sbaglia nella vita?) serva a poco, solo a disperdere risorse, mentre la formazione era migliore quando nella specializzazione in Medicina Interna avevamo anche il ramo urgenza. D’altra parte, non a caso i PS assumono anche specialisti in medicina interna.

Gli organici.

Un’altra cosa di cui va dato atto all’intelligenza del Ministro Speranza è aver compreso, prima volta anche qui, che noi non abbiamo bisogno di più medici, ma di più specialisti. Una tendenza questa che, finalmente, si oppone alle demenziali idee di aumentare il numero degli studenti. Idiozie. La programmazione sanitaria non si può fare sul numero degli studenti, ma su quello degli specialisti che vanno immessi nel mercato ogni anno. Ed in questa programmazione deve rientrare anche il numero dei MMG, ricalibrando le loro attività e riducendo il numero di pazienti che hanno in carico, per una assistenza di base più efficace.

Per tentare di decongestionare i PS, questi quattro interventi andrebbero eseguiti contestualmente.

 

Pronto Soccorso – Foto Dalet

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