La Prima Pietra

LA DEMOCRAZIA MALATA

La democrazia nel nostro paese è stata una conquista frutto del sacrificio di tanti, per decenni sia pur in mezzo a tante difficoltà pareva tutto sommato in salute, ma in questi anni le cose appaiono differenti.

Le istituzioni appaiono paralizzate, quasi timorose di svolgere il proprio compito.

Il parlamento popolato in gran parte da politici sempre meno autorevoli, non riesce ad essere più il motore della vita politica, visto che si trova con frequenza a dover ratificare decisioni prese altrove.

Gli esecutivi che continuano a succedersi, frutto più di calcoli politici che di esigenze effettive sono sempre più lontani dalla realtà, con premier che ormai è la regola sono frutto di scelte fatte nel chiuso delle stanze della politica.

Non a caso in questa legislatura né Conte né Draghi, i due premier che al momento si sono alternati, sono stati scelti dagli elettori e tanto meno siedono in parlamento.

Si badi non è una questione di mancanza di democrazia, sarebbe un po’ esagerato pensarlo, né tutto ciò è attribuibile alla (pessima) legge elettorale.

Infatti nella c.d. “prima repubblica” al di là della durata (come oggi fin troppo breve) i presidenti del Consiglio erano scelte tra figure parlamentari, erano   esponenti politici.

Sarebbe stato impensabile per dire che un professionista sia pur di assoluto livello o l’ex capo della B.C.E e di Banca D’Italia assurgessero al ruolo di Premier, perché non vi era l’esigenza di trovare figure all’esterno del perimetro politico.

Per carità, non vi è nulla di sbagliato in queste scelte ma quello che fa riflettere è che negli ultimi anni, ciò e non solo per la Presidenza del Consiglio sta diventando la regola.

Le stesse “regole del gioco “riflettono la mancanza di prospettive che attraversa la politica italiana, poiché dal “porcellum” ovvero la legge in chiave proporzionale, così soprannominata dal suo ideatore, perché ritenuta un vero obbrobrio in grado di assicurare   l’ingovernabilità alla coalizione di centro sinistra che nel 2006 era favorita per la vittoria, i cittadini non hanno potuto nemmeno più votare i propri candidati.

E si perché da allora e per le successive leggi elettorali che si sono succedute, ovvero l’Italicum (mai entrato in vigore) e il rosatello le liste che i partiti presentano alle elezioni sono liste bloccate; vale a dire che l’elettore esprime la preferenza per la lista e quindi sui candidati come sono indicati in lista.

Negli anni si è sempre detto che in tal modo si evitava il clientelismo che le preferenze in un sistema proporzionale potevano portare, ma al di là delle facili constatazioni circa l’ulteriore distacco tra cittadini e classe politica vi è anche dell’altro.

Infatti con una scelta del genere si concentra nelle mani di pochi la scelta dei candidati e quindi della composizione del parlamento con conseguenze assolutamente nefaste: la politica cessa di essere confronto e competizione per diventare un sistema sostanzialmente stagnante.

Una realtà quella della politica attuale, in cui l’obiettivo non è tanto quello di assicurare la governabilità del paese, quanto quello di assicurare la conservazione della situazione in essere, dove non vi è un vincitore e non vi è un vinto.

Sintesi perfetta di quella che è stata dopo 4 anni l’attuale legislatura e che al di là delle considerazioni circa le aspirazioni dei parlamentari sulla durata sino alla scadenza naturale è una verità incontestabile.

Del resto i richiami all’adozione di una legge in chiave ancora più proporzionale lo confermano, poiché l’esigenza nemmeno tanto più nascosta è quella di consentire governi che abbraccino il maggior numero di forze politiche.

Intendiamoci l’Italia repubblicana ha sempre avuto una tradizione elettorale in questo senso, vuoi anche per le ferite che le derivavano dalla dittatura fascista e per altro non è un male.

A patto che le coalizioni che si formino abbiano un vero programma, vi siano delle regole precise mentre oggi quello che traspare è tutt’altro.

Basti vedere che in questa legislatura siamo passati da un esecutivo dove la lega e il PD erano avversari ad uno, l’attuale dove addirittura sono alleati di governo con tutte le stranezze del caso; è abbastanza inusuale che un partito che si rifà agli ideali della sinistra sia alleato di un partito sovranista.

Così come non deve meravigliare che una formazione come Italia Viva, sostanzialmente strizzi l’occhio al centro destra o come in un prossimo futuro, vedere una coalizione tra Fratelli D’Italia e il partito di Letta.

Si dirà un conto è la “lotta” politica, la competizione e un conto è il governo del paese, non potendo andare a votare ogni anno, in mancanza bisognerà abituarsi a coalizioni per così dire anomale, create dopo l’esito delle urne.

Vero ma entro certi limiti, vero anche che per più di 40 anni in Italia abbiamo avuto un sistema anomalo in cui un partito la Democrazia Cristiana, prima da solo e poi in coalizione è stato al governo ininterrottamente.

Ma è anche vero che in ogni caso vi erano degli steccati ben precisi e non si aveva la promiscuità attuale in tema di alleanze.

In passato, comunque sia pur in astratto vi era una possibile alternanza, ovvero se per assurdo avessero avuto i voti sia il Movimento sociale che il partito comunista avrebbero potuto governare, laddove oggi se si esce dal perimetro di governo di fatto non vi sono alternative, se non la Meloni che da sola non andrebbe lontano.

Alla lunga se si continuasse sulla falsariga della legislatura in essere verrebbe meno alla fine anche la differenza tra destra e sinistra avendo avuto al governo con Draghi tutte le forze appunto con l’eccezione di FDI.

Chiaro in una situazione eccezionale, quale quella che stiamo vivendo, si può anche giustificare una cosa del genere ma alla lunga viene meno l’alternanza politica avendo una sorta di partito unico.

Questo rischia di anestetizzare la vita politica, privando il paese di quello che è uno dei cardini della vita democratica, ovvero l’alternanza politica, senza di cui il sistema in essere ovviamente va in asfissia.

Tanto più che il parlamento vede ridursi sempre di più il suo ruolo, i cui componenti hanno come evidenziato in precedenza un ruolo di meri ratificatori di decisioni prese altrove: per dire la legge finanziaria viene approvata ormai senza alcuna discussione in aula e non solo perché manchi il tempo.

Senza contare che molti leader o aspiranti tali anche senza una grande carriera politica alle spalle come Alessandro Di Battista, preferiscono restarne fuori, questo perché il vero agone politico in questi anni è fuori dai palazzi di Camera e Senato.

Un grande impulso alla delegittimazione silente ma inesorabile del parlamento è stato dato dall’arrivo in parlamento del movimento 5 stelle, cui si deve l’ultimo colpo di piccone assestato con la riduzione dei parlamentari.

Presentato come una sconfitta della casta, in realtà il referendum indetto sull’argomento è una grave ferita inferta al cuore delle istituzioni, poiché con l’irrisoria prospettiva di una riduzione dei costi della politica si è in realtà fatto ben altro.

Vale a dire un danno alla democrazia, poiché con un numero minore di parlamentari le istituzioni funzioneranno male ed i territori saranno meno rappresentati, con zone che avranno una rappresentanza irrisoria.

Il livello di una democrazia si misura anche dalla qualità del lavoro svolto dalle sue istituzioni.

La difficoltà del momento si può cogliere anche nei partiti politici, che ormai hanno una vita breve e sono strettamente legati alla persona del fondatore.

E si perché dopo la caduta del “muro di Berlino” con la fine delle ideologie i partiti come erano conosciuti nel novecento sono via via scomparsi, per lasciare spazio a formazioni in cui il leader è in totale simbiosi con il partito al punto da inserire spesso il proprio nome nel simbolo.

Quando questo non accade comunque vi è nella sostanza un uomo solo al comando, che non risponde ad altri e in teoria può rimanerne il capo senza limiti di tempo di fatto.

Esempi soprattutto nel centro destra, ovvero la Lega con Matteo Salvini, Fratelli D’Italia con la Meloni e ovviamente Forza Italia, ma anche se in misura minore nello schieramento di sinistra.

Tutti segnali, questi che di per sé non dicono nulla di particolare ma che combinati insieme, possono portare la democrazia italiana al definitivo trapasso; questo perché le istituzioni o meglio la politica è ormai acefala inerme, incapace dispiace dirlo di una reazione.

Attenzione non è retorica ma un dato di fatto, perché addormentandosi le istituzioni, vengono meno i presupposti di una democrazia che vive e trae linfa da esse e dalle forze politiche.

Chiaro è tutto da vedere che vi possa essere una svolta dittatoriale, ma gli effetti potrebbero essere molto simili a quelli che per dire abbiamo visto nel ventennio fascista.

La storia insegna qualcosa se solo si avesse il coraggio di non rimuoverla, senza la malattia che affligge il nostro sistema politico si aggrava ancor di più.

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