La Prima Pietra

L’autonomia differenziata nella Repubblica “una e indivisibile”. Un convegno a Roma.

CONVEGNO NENS
L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA NELLA REPUBBLICA “UNA E INDIVISIBILE”
Roma, 6 febbraio 2023

Sintesi di alcuni interventi e mio Commento finale

 


Vincenzo Visco
, emerito di Scienza delle Finanze alla Sapienza, presidente onorario di Nens, già ministro delle Finanze, ministro del Tesoro e viceministro, introduce l’argomento della iniziativa, l’autonomia differenziata, sottolinea la “tempestività” (accidentale!) del convegno, a poche ore dall’approvazione in CdM della bozza Calderoli, legge che regola il percorso di richiesta di autonomia (che è già possibile chiedere, sia chiaro, come recita la Cost., artt. 116 e segg.).
Personalmente noto con piacere che anche Visco sottolinea un “mio” (!) cavallo di battaglia: il residuo fiscale “non esiste”, o meglio, non è utilizzabile come strumento o criterio per riequilibrare tasse versate e finanziamenti statali per servizi. Le tasse sono individuali e non territoriali. In uno stato unitario come il nostro, continua Visco, ogni individuo/famiglia dovrebbe beneficiare dello stesso livello di spesa per i servizi; e a parità di reddito dovrebbe pagare le stesse imposte! “Concetto “rivoluzionario” se solo si pensa, aggiungo io, alla flat tax per i lavoratori autonomi!

Le richieste delle tre regioni, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, guardano sostanzialmente al modello delle regioni a statuto speciale, in cui ad una maggiore autonomia NON corrisponde una maggiore “responsabilità” fiscale, ma solo maggiori trasferimenti dallo Stato, senza prendersi, appunto, alcuna responsabilità impositiva.

Giuseppe Pisauro, ordinario di Scienza delle Finanze alla Sapienza, neo-presidente di Nens, già capo dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, mette in evidenza i due principali aspetti su cui si sta concentrando l’attenzione:
– effetti dell’autonomia differenziata sugli squilibri territoriali
– effetti dell’autonomia differenziata sulle politiche pubbliche nazionali/locali

Sua opinione è che, quand’anche ci fosse equità ed equilibrio territoriale senza apprezzabili differenze, le scelte che si stanno pensando di fare sull’autonomia NON sarebbero comunque utili o giuste.

Le richieste di autonomia, infatti, riguardano talmente numerose materie, sono talmente pervasive, da provocare in ogni caso una inaccettabile frammentazione delle politiche pubbliche.
Lasciando da parte l’Istruzione, che è evidentemente il caso più eclatante e che subirebbe i peggiori effetti di una autonomia differenziata, Pisauro si chiede: quali conseguenze avrebbe la competenza regionale in materie come le grandi reti nazionali di trasporto  e navigazione; oppure produzione e trasporto di energia? In tali casi, addirittura, ci si dovrebbe chiedere se non sia saggio e necessario pensare ad una dimensione sovranazionale -altro che regionalismo!- , per lo meno europea!
Pisauro elenca poi alcune richieste, alcune pericolose, altre ancora … incredibili ed inaccettabili: acquisizione al demanio regionale della rete ferroviaria e autostradale; l’approvazione delle infrastrutture strategiche di competenza statale; le competenze statali in materia di immigrazione; la definizione della equivalenza terapeutica dei farmaci: 20 piccole AIFA! Esclama, tra il divertito e l’arrabbiato il prof. Pisauro.

Infine, aggiunge Pisauro, dal 2018 NESSUNO ha mai posto e approfondito la seguente questione: come si giustifica l’esistenza di richieste del genere. Nelle intese tra governo e le tre regioni-richiedenti-autonomia, fissate durante il governo Conte I, nel 2019, si parla in maniera identica per tutte e tre, di attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, in forza di specificità proprie della regione e funzionali alla sua crescita e sviluppo. Punto. Niente di più. Nessuno, né Conte I, né Conte II (bozza Boccia), né Draghi, né Calderoli/Meloni ha mai chiarito questo punto. Bisogna ridurre le materie su cui è possibile chiedere autonomia, conclude Pisauro, modificando gli artt. 116 e 117 Cost., chiarendo ed esplicitando, nero su bianco, che le richieste devono essere accompagnate da motivazioni caso per caso, riferibili a particolarità e peculiarità della regione richiedente, e NON solo con una banale generica frasetta.

In conclusione, Pisauro auspica una valutazione complessiva dell’esperienza delle regioni, una sua rivisitazione, anche di quelle a statuto speciale.

 

Gianfranco Viesti, ordinario di Economia Applicata all’Università di Bari Aldo Moro, inizia subito dicendosi fortemente favorevole alle autonomie, che sono nella tradizione del pensiero progressista, e consentono forme di autogoverno e di vicinanza delle istituzioni ai cittadini, e forme di differenziazione di quello che si deve fare, in un determinato campo, in base a diverse necessità; impone, inoltre, una responsabilizzazione dell’ente locale.

Se un buon decentramento è quindi auspicabile (uno Stato accentratore che pretende di pianificare e decidere tutto, a Viesti non piace), non ci sono regole valide per la sua attuazione per ogni situazione: le regole cambiano, da paese a paese, per differenze storico-istituzionali e tradizioni culturali. Cita gli esempi di Germania e Spagna, ad esempio.

In definitiva, un buon decentramento si può dire che debba essere ben bilanciato (né troppo “fai da te”, né tutto dipendente dallo Stato centrale).
Tre cose sono necessarie perché decentramento/autonomia funzioni bene:
1. Sapere bene chi fa cosa, cioè individuazione precisa delle “responsabilità”
2. Avere a disposizione risorse, finanziare ed umane, sufficienti per far fronte a queste responsabilità
3. Potere ed essere capaci di controllare, da parte dello stato centrale, e dei cittadini, l’attività “autonoma”, poterla valutare e giudicare, ed eventualmente poter attivare poteri sostitutivi

In Italia negli ultimi 20 anni c’è stato un forte incremento di decentramento e autonomia, ma certo queste tre condizioni non si sono verificate:

1. c’è confusione nelle responsabilità; grande conflittualità Stato-Regioni; scarsissima se non inesistente collaborazione orizzontale tra le regioni (esempio della gestione della qualità dell’acqua del Po, esempio che sarà poi ripreso da Errani: ognuno si disinteressa di quello che fa l’altro). Gestione acque interregionali, gestione zone montane appenniniche, ecc…, sono questioni troppo importanti e non possono essere frammentate tra le regioni.

Tema dei Comuni. Le città, in questa situazione, sono schiacciate dall’ente reginale (Manfredi e Sala hanno molto meno potere e capacità di intervento rispetto a De Luca o Fontana). Il tema delle autonomie cittadine è particolarmente sentito da Viesti, che ritiene che le città siano i luoghi-chiave delle autonomie, ma non hanno molta voce in capitolo. Ricorda ancora, Viesti, il tema, importante, degli Enti di Area Vasta, le Province, su cui si è parlato, ma su cui c’è ancora confusione e … un nulla di fatto.

Parte della responsabilità di questa confusione generale e cattivo funzionamento, ricade sullo Stato centrale, che non ha fatto le cosiddette leggi-cornice, dove si stabiliscono i grandi principi che uniformano poi l’azione differenziata delle regioni. Se ci fossero stati questi principi generali, sostiene Viesti, non ci sarebbe ad esempio stata la enorme differenza nell’affrontare la pandemia tra Lombardia (in cui è stata smantellata la sanità territoriale, e si è attuata una larga privatizzazione) e Veneto, che aveva invece una diversa organizzazione, capace di intervenire meglio.

2. Sulle risorse l’analisi di Viesti è particolarmente impietosa: non è stata attuata (si è solo cominciato) la legge 42/2009 sul federalismo fiscale e la perequazione; non sono stati definiti i LEP, e si chiede: che cosa garantiamo come diritti civili e sociali, a cui parametrare i finanziamenti? E poi osserva che nel mentre si chiede maggiore autonomia e potere, nessuna regione ha chiesto la applicazione dei decreti perequativi del 2011, che avrebbero dovuto stabilire le risorse per gestire materie di cui le regioni sono GIA’ ADESSO responsabili.

Esempio (un mondo a parte, lo chiama Viesti) sulla Sanità: i LEA ci sono, ma NON c’è nessun collegamento tra Fondo Sanitario Nazionale, sua ripartizione territoriale, e i LEA, che quindi NON stabiliscono i fabbisogni finanziari effettivi, e restano semplice sterile testimonianza.  E fa l’esempio della Campania (ha ragione De Luca, aggiungo io, su questo punto) in cui a fronte di fabbisogni alti, ci sono trasferimenti molto bassi.

Se non c’è nessuna perequazione a livello regionale, Viesti ricorda come addirittura peggio sia la situazione a livello dei comuni, in cui l’analisi dei fabbisogni è stata fatta, ed è servita per i trasferimenti e/o perequazione, ma con osceni e bizzarri parametri (i famosi zeri al Sud di Marco Esposito, ndr) per cui per un Comune dove non c’è trasporto pubblico, o non ci sono asili nido, si stabilisce che il fabbisogno per il trasporto, o per gli asili nido, in quei comuni, è pari a 0 euro!
Ancora sulle risorse, grave carenza di personale, drammatica al Sud, ma anche in alcuni comuni del Nord …

3. Si chiede infine Viesti: ma minori servizi, qualità più bassa al Sud, dipendono da manvcanza di risorse o incapacità o peggio? Probabilmente da entrambi, ma … non si può dire perché NON ci sono param,etri a cui fare riferimento per controllare e valutare. Ecco il terzo punto, manca anche questo. E mai lo Stato ha utilizzato i poteri sostitutivi che pure ha (per esempio per la Sanità).

Come molti, Viesti sottolinea che, se pure partita dal Veneto (ragioni varie, una quella di essere in “difficoltà” con Comuni che chiedono di abbandonare il Vento e “accasarsi” in Trentino Alto Adige o in Friuli Venezia Giulia, che, essendo a statuto speciale, hanno ENORMi vantaggi), la richiesta di ayutonomia differenziata richiesta anche dall’Emilia Romagna ha dato una forza molto più grande a tutto il movimento autonomista/secessionista (questi due ultimi aggettivi sono miei, ndr).

Infine Viesti ricorda che è sospetta, fuorviante, falsa, l’affermazione “la Costituzione prevede la concessione di autonomia, bisogna quindi concederla a chi la richiede”, perché appunto in Cost. c’è la possibilità di richiederla, ma è sempre il Parlamento che deve decidere, e può decidere anche di no. Ma qui il discorso si fa politico … e di convenienza.

Conclude ricordando come un primo tentativo di limitare pericoli e danni di una impostazione a trazione leghista, è la proposta di riforma costituzionale di iniziativa popolare, preparata da Massimo Villone e altri, sotto la quale si stanno raccogliendo decine di migliaia di firme affinché possa essere discussa dal Parlamento.

 

Vasco Errani, già presidente Regione Emilia-Romagna, sostiene che quella che si sta prospettando con il ddl Calderoli (che regola l’attuazione dell’autonomia differenziata, prevista dagli articoli 116 e segg. della Cost.) è una vera e propria riorganizzazione della nostra Repubblica. E ritiene che fin qui, su questi temi, la discussione sia stata superficiale, a tratti inconsapevole, se non addirittura furbescamente aggirata ed evitata. Secondo Errani, invece, ci vorrebbe un approfondimento serio, che parli di centralismo statale e decentramento. Che approfondisca il problema, e informi i cittadini.

Secondo Errani la modifica del Titolo V, un vero e proprio errore, ha portato ad una conflittualità permanente tra Stato e Regioni che anche il giurista Flick sottolinea, da presidente emerito della Corte, non essendoci mai stata poi una legge di attuazione. L’errore del governo Gentiloni, figlio di una sciagurata stagione politica, secondo Errani sta nell’aver accettato l’impostazione leghista, che nasceva da esigenze di Veneto e Lombardia e, ahimé, aggiunge Errani, anche dell’Emilia-Romagna, per visione neopoliticista. Queste regioni mirano, di fatto, agli stessi privilegi delle regioni a statuto speciale. Ma, a parte la non praticabilità di una richiesta formale in tal senso, se si cerca surrettiziamente forzando l’interpretazione del 116 comma 3, lo stesso Dipartimento Affari giuridici e legislativi, che affianca il presidente del consiglio nel suo lavoro, giudica un problema costituzionale la richiesta di 23 materie su cui esercitare potere autonomo da parte delle regioni. La Costituzione si adotta ad impianto, non articolo per articolo, à la carte! Gli artt. 2, 3, 5, sarebbero in serio e grave pericolo se si attuasse in maniera indiscriminata il 116 comma 3. Perché non si parla di decentramento amministrativo, ma di capacità legislativa esclusiva!

Sui LEP, ragiona Errani, si fisseranno livelli minimi, e senza neanche assicurare le risorse necessarie per attuarli. Uno scatto d’orgoglio, un pensiero alternativo, chiede infine Errani, alle opposizioni, che debbono mettersi insieme, almeno su questo punto, e costruire una iniziativa nel Parlamento e nel Paese, per battere il tentativo della destra di ottenere una egemonia culturale e di costruire un blocco sociale ad essa favorevole e collegato.

 

Francesco Boccia, già ministro per gli affari regionali e le autonomie, attualmente parlamentare PD, sostiene che nei circoli in questa fase congressuale del PD si discute molto di questi temi, di autonomia differenziata, e, aggiunge, l’intero PD ha una posizione unitaria, condivisa da tutti: contro l’autonomia voluta dalla Lega (ndr: frase più volte ripetuta, da molti, nel PD, ma decisamente ambigua: contro l’autonomia voluta dalla Lega, ma favorevole ad un altro tipo di autonomia differenziata? Oppure, come vorrebbero far credere, contrario all’autonomia differenziata, autonomia che è voluta dalla LegaNord?).
Difende, Boccia, il suo lavoro come ministro, e con la Conferenza Stato-Regioni, in cui la “sua bozza” (che aveva gli stessi obiettivi del ddl Calderoli, “normare” l’attuazione del 116 e 117 Cost.) aveva strappato l’unanimità. Conclude ricordando il grave errore di Gentiloni e Bressa che chiusero le pre-intese nel 2018, a pochi giorni dal voto di febbraio, che avrebbe sancito la vittoria dei 5S e della Lega … Il Pd di Elly Schlein, chiude, sarà un partito di sinistra che si opporrà con forza a queste richieste della destra.

 

Maria Domenica (Mariolina) Castellone, vicepresidente Senato, parlamentare 5S, dichiarandosi contraria nettamente alle richieste leghiste, ricorda che i 209 miliardi assegnati all’Italia con il Next Generation EU sono frutto della necessità, indicata dall’Europa, sostanzialmente di colmare i gap tra Sud e Nord , e la cifra di 209 è stata raggiunta “misurando” questi ritardi. L’Italia invece sta usando, con il Pnrr, questi miliardi per altri scopi, e non quello per cui sono stati assegnati. La richiesta di autonomia regionale su alcune materie (oltre a Istruzione e Sanità, anche Energia, Infrastrutture strategiche, ecc …) non ha senso, ché su tali materie la dimensione politica e complessiva corretta sarebbe quella sovranazionale.

 

Pierluigi Bersani, già presidente della regione Emilia-Romagna, già ministro dell’Industria, già segretario del PD, attualmente autorevolissimo dirigente di Articolo UNO, conclude la manifestazione. A lui è riservato un tempo ampio per argomentare su queste questioni.

Il suo leit motiv è: costringere in difesa la destra, agire in contropiede, presentando proposte alternative.
Denuncia l’impossibilità di garantire LEP degni di questo nome (la cifra, ricordata anche da Boccia, si aggirerebbe sui 100 miliardi annui), ed il pericolo di disarticolazione dello Stato, se, insieme al 116 comma 3, non si implementa anche il 117 ed il 118, ecc …
Contesta (“credono in un maiale tutto di prosciutti!”) la teoria della Lega e delle destre secondo cui se si danno vantaggi e risorse a chi ha già di più ed è in grado di fare, poi stanno bene tutti, anche quelli a cui non è stato dato niente, anzi è stato tolto qualcosa. Insiste sulla necessità di proporre qualcosa che modifichi l’attuale situazione, ma sempre in modo che politiche pubbliche, politiche fiscali, non siano fonti di disuguaglianze.

Duetto con un partecipante (che non ho individuato): “capisco che la Sardegna possa avere interesse al problema del trasporto marittimo, ma l’Umbria no!” Interruzione e frase dal pubblico, e Bersani: “Capisco, tu pensi al Trasimeno!” Risate.

 

Mio commento
Bisogna essere più decisi, meno “paurosi”, meno “nordisti”, ecco. “Autonomia sì, ma non quella che vuole la Lega”; “diciamo no a questa, però dobbiamo proporre un’alternativa”, … ecc …, sono parole (a parte le prime … da respingere in toto), pericolose. Con il mio amico e maestro politico, il compianto Guglielmo Epifani, spesso ricordavamo l’aforisma di Keynes: “se si stima di arrivare ad un compromesso, è prudente (badate, PRUDENTE!) partire da posizioni estreme”. Poi, un sindacalista come lui!

Ancora. Senza lo sciagurato appoggio, fin dal 2017 e poi 2018, di Bonaccini e dell’Emilia-Romagna, la richiesta di autonomia differenziata, pur sempre pericolosa, avrebbe avuto molta meno forza di quella che ha: forze politiche alla guida di importanti regioni del Nord, di schieramenti contrapposte, la chiedono.

Insomma, NO a ogni sciagurata ipotesi di autonomia differenziata, ogni devoluzione, ogni oscenità come trattenere sul territorio il residuo fiscale, et similia. No allo spacchettamento di settori strategici come Scuola; Università e Ricerca; Sanità -sì, si dovrebbe ragionare anche sulla Sanità-; Energia e sue reti di trasporto; Infrastrutture (autostrade, ferrovie, porti, aeroporti); Ambiente; Beni Culturali; Politiche del lavoro; … solo per citarne alcuni, devono restare nella potestà esclusiva dello Stato. Mettiamolo nero su bianco in Costituzione. La proposta di legge di riforma costituzionale degli artt. 116 e 117, di iniziativa popolare, proposta da Massimo Villone ed altri, cerca di fare questo (ed altro). Stabilito questo, e respinte al mittente tutte le pulsioni di fatto “secessioniste”, sgombrato il campo da tali pericoli, solo allora … se ne può tornare a discutere. Ma a discutere anche di autonomia e di autonomie, di ruolo e necessità delle Regioni, delle Province, delle Regioni a statuto speciale, …

Appoggiamo tutti la proposta Villone, firmando a http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/

Bisogna raccogliere almeno 50.000 firme, ma l’obiettivo, politico e “spettacolare”, è quello di arrivare a svariate centinaia di migliaia. Il nuovo regolamento del Senato impone che le leggi di iniziativa poolare siano messe all’ordine dei lavori e discusse entro un certo tempo (non come prima, per cui le proposte di legge di iniziativa popolare venivano messe in un cassetto a prendere polvere): le Camere, quindi, saranno obbligate a discutere e ad esprimersi! I sindacati della scuola (FLC Cgil, Uil Scuola, Cisl Scuola, Gilda, SNALS), l’ANPI, alcuni partiti e movimenti politici, sostengono tale iniziativa.

Facciamolo tutti, FIRMIAMO!

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