La Prima Pietra

“Letta, we have a problem!”. La lettera al segretario PD

La lettera al segretario PD è una occasione da cogliere al volo, per la politica, il Mezzogiorno, il Paese tutto.

Sulla rivista “Infiniti Mondi” un intervento ed un altro ancora prendono le mosse dalla lettera (e successivo incontro pubblico) di vari intellettuali “meridionalisti” al segretario del PD Letta, per denunciare comportamenti, idee, modo di fare politica del presidente della regione Campania Vincenzo De Luca. Si evidenzia il fatto che questa lettera, questo incontro pubblico, non vanno rubricati come ulteriore e poco commendevole o fastidioso ed insignificante episodio di una ennesima querelle tra “gruppi di potere” all’interno del PD.

Innanzitutto, a mio avviso, la lettera al segretario è un potente pungolo al PD perché affronti questioni che superano il piccolo cabotaggio di questo o quell’altro ras di zona, ma pongono anche una questione di democrazia e di vivibilità nel partito, e di selezione di gruppi dirigenti, di gestione di un partito, di governo di un territorio; non solo De Luca, quindi, ma di fatto è l’intero gruppo dirigente PD campano e napoletano che a mio avviso viene chiamato in causa.  Questione interessante il PD napoletano e campano innanzitutto, questione interessante il PD tutto, questione interessante tutti, l’intero Paese, ché partendo da un dato territoriale e regionale, mette a fuoco un problema generale.

Ma, ancora, l’iniziativa degli intellettuali (da Sales a Villone a Plutino, ma si sono poi aggiunti Felice, Urbinati e tanti altri, per citarne solo alcuni) può essere vista come ben altro. Un ulteriore tentativo di rileggere la questione meridionale, di far tornare a diventare la questione meridionale, questione nazionale. Che deve vedere impegnati partiti e forze politiche, dirigenti e parlamentari, corpi intermedi (se ce ne fossero ancora … di capaci!), esperti, studiosi, intellettuali, tutti, insieme, del Nord e del Sud, convinti che il Paese si risolleva e riparte se si risolleva e riparte il Mezzogiorno.

Il libro di Guido Dorso “La rivoluzione meridionale”, pubblicato nel 1925, fu un brillante, generoso, lucido tentativo di mettere al centro dell’attenzione dello Stato la risoluzione dei problemi di arretratezza economica, occupazionale, sociale, civile, del Mezzogiorno, proprio quando la dittatura fascista muoveva i primi passi e si consolidava con ferocia (Matteotti era già stato assassinato, gli antifascisti al confino o in carcere o perseguitati e costretti a riparare all’estero .. ), e a modo suo risolveva la questione meridionale, semplicemente “negandola”, non parlandone affatto.

“La rivoluzione meridionale” scaldò il mio cuore e mi aprì orizzonti nuovi, commentò, quasi settanta anni dopo, Vittorio Foa, generoso intellettuale e uomo di sinistra del Nord, impegnato come Dorso in una battaglia di civiltà e di democrazia.

Per trarre fuori il Sud dalla condizione coloniale a cui fu condannato con l’unificazione fatta a vantaggio di una parte del Paese (ancora recentemente “autorevoli” bocconiani, consultati da governi e regioni come “oracoli” di costituzionalismo ed economia, oscenamente egoisti ed esponenti delle pretese “padane”, hanno sostenuto che l’Italia si salva facendo morire Napoli per far crescere Milano, senza che nessun uomo di governo o dirigente politico abbia avuto alcunché da ridire), ci vorrebbero “cento uomini d’acciaio” (“Esiste una nuova classe politica del Mezzogiorno? Esistono cento uomini d’acciaio col cervello lucido e l’abnegazione indispensabile per lottare per una grande idea?”), secondo lui necessari (e sufficienti) a far rinascere il Mezzogiorno, a colmare il gap, in tutti i campi, tra Sud e Nord: purtroppo, a parte qualcuno, NON li abbiamo trovati (come temeva lo stesso Dorso, anche se … ci sperava e credeva) in questi 100 anni, ormai, passati dalla prima uscita del notevole saggio. Tutte le sue speranze, riposte nel dopoguerra, sono state “tradite”: la “rivoluzione” non è mai avvenuta, l’élite politica e culturale non si è formata e i giovani del Sud, allora come oggi, vanno via, ad un ritmo impressionante (si stima che circa 100.000 persone all’anno, giovani e adulti, vadano via, all’estero o in altre parti d’Italia, come se ogni 15-16 mesi sparisse dal Sud una intera città grande come Salerno!). Molto spesso si tratta di persone valide, per le quali “il Sud ha speso”, perché fossero preparate, ed in grado di poter emergere e fare la differenza in qualsiasi parte d’Italia o del mondo andassero: per fare sviluppare altre realtà, purtroppo, non quelle meridionali di partenza! Questo “investimento” perduto si stima potrebbe equivalere ad una ventina di miliardi. Spesi dal Sud … per aiutare il Nord (o altri paesi)! Pensando alla questione iniziale, a scanso di equivoci, è bene dire chiaro e forte che De Luca NON è uno di questi uomini di acciaio, ché la sua “forza” (pre-politica e arrogante) la mostra e la usa in maniera del tutto antidemocratica e, purtroppo, anche contro gli interessi del Mezzogiorno (a mio modesto avviso).

L’esperienza e la lotta “meridionalista” di Dorso, esponente di quel liberalismo democratico e azionista a cavallo tra fascismo e dopoguerra, però, non è ovviamente la sola: bisogna ricordare il fiorentino Pasquale Villari (che “lavorò” una sessantina di anni prima); ma anche poi Francesco Saverio Nitti, Giustino Fortunato, Antonio Gramsci, Manlio Rossi-Doria, e poi ancora Francesco De Martino, Gerardo Chiaromonte, Francesco Compagna, Giuseppe Galasso, fino a Sales, Villone, Viesti, Giannola, Provenzano,  … per dirne solo alcuni … uomini politici o studiosi ed intellettuali, di diversa posizione politica, di diverso “pensiero”, ma uniti nella denuncia di uno sfruttamento sostanziale del Sud da parte dei ceti dominanti del Nord.

Nessuno, credo, prendendo alla lettera l’analisi di Dorso, aspetta di trovare cento uomini o donne di acciaio, per cominciare a fare qualcosa; io credo che tutti noi possiamo/dobbiamo rimboccarci le maniche, ribattere colpo su colpo ad ogni subdola, oscena, provocatoria “azione” o proposta dell’egoismo nordista, senza cedere di un millimetro, non stancandoci mai di spiegare e coinvolgere e convincere altri studiosi, intellettuali, dirigenti politici, uomini di governo. Pino Aprile, in un suo articolo, intelligentemente cita una “storia” di Gianni Rodari che, con la sua geniale semplicità e profondità al tempo stesso, raccontava di un uomo virtuoso e senza difetti e peccati, che girava il mondo per trovare un posto che meritasse una persona come lui. Ma ovviamente non ne trovò nessuno. E morì … senza risultati. Molto saggiamente e convintamente Rodari commenta: se invece si fosse fermato in un qualunque posto, e con il suo esempio, la sua azione, avesse migliorato, anche di poco, quel posto, la sua vita sarebbe stata ben spesa.

Io credo che un modo per fare uscire il Mezzogiorno da questo stato di subordinazione, per dare una scossa al PD, e a tutta la sinistra, troppo spesso adagiate su posizioni “nordiste”, potrebbe essere agire su temi diversi, ma insieme! Individuando, ad esempio, come si è fatto e si continua a fare, opere strategiche per l’economia del Mezzogiorno e di conseguenza immediatamente strategiche per l’intero Paese, e lavorare come forza politica territoriale, ma anche nazionale, per realizzarle.

Ad esempio combattere la desertificazione demografica attraverso la creazione di lavoro e la costruzione di asili nido, e, al contempo, combattendo la desertificazione demografica, rendere utile ed indispensabile la creazione di posti di lavoro e la costruzione di asili nido; richiedere con forza Alta Velocità e Alta Capacità ferroviaria in TUTTO il Mezzogiorno, “isole comprese”, perché questo significa un maggiore e armonico sviluppo dell’intero paese; ciò implica anche una rinnovata attenzione all’adeguamento delle linee ferroviarie cosiddette “tradizionali”, in modo che il traffico possa essere gestito sinergicamente assieme a quello delle linee di nuova costruzione; sfruttare e potenziare i “sistemi portuali” (insieme di più porti e zone portuali) del Mezzogiorno: vanno pensati come strategici per l’economia italiana i sistemi portuali di Napoli (Napoli-Castellammare-Salerno); Bari (Bari-Brindisi); Augusta-Gioia Tauro (Augusta-Catania-Gioia Tauro-Taranto); Palermo (Palermo-Porto Empedocle-Trapani), realizzando davvero la condizione di strategico hub portuale-logistico per il Mezzogiorno, steso nel Mediterraneo, a raccogliere traffici e merci da tutto il mondo (evitando lo sconcio tecnico e politico di considerare hub strategici nazionali i porti di Genova e Trieste! Il solo porto con fondali adatti all’accoglimento delle cosiddette supernavi è quello di Gioia Tauro; per rendere, come ahimé sembra deciso, Genova adatto a questo scopo, si devono prevedere lavori per 2 miliardi di euro!);  realizzare finalmente i “corridoi” Berlino-Palermo  ed Helsinki-Malta, di cui si parla da almeno 50 anni.

Ad esempio, la importanza della questione sistemi portuali nel Mezzogiorno d’Italia si è toccata con mano recentemente (1-2 anni fa), con la situazione di momentaneo “blocco” per incidente del canale di Suez: se costrette a circumnavigare l’Africa, le grandi navi-cargo non entrerebbero proprio nel Mediterraneo, ma andrebbero subito a Rotterdam o ad Amburgo, tagliando fuori l‘Italia da ogni traffico.  E proprio per questo bisogna dare ampio risalto ai porti d’Italia del Mezzogiorno, baricentrici nel mar Mediterraneo (istituendo zone doganali intercluse; istituendo per i vari sistemi le relative ZES; realizzando strade e ferrovie per i collegamenti e tutte le infrastrutture necessarie; ecc …).

Ecco, la sinistra deve fare questo.

Infine, tornando alla lettera al segretario Letta da cui sono partito, agli estensori della lettera, e a tutti noi, sta il compito di comprendere convintamente, e far capire a tutti gli interlocutori, governo in primis, partiti e politici ecc .., l’importanza storica, strategica,  che una simile azione/messaggio può avere, per il PD, per la sinistra, per la politica, per il Mezzogiorno, per il Paese tutto.

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