Il regionalismo differenziato, con le eversive richieste di Emilia, Lombardia, Veneto, non accenna a scomparire. Il lavoro ed impegno di accademici e giornalisti, in piccola parte anche nostro, ha contribuito a evidenziare alcune situazioni e pericoli gravissimi e rallentare la precipitosa corsa verso una secessione dei ricchi, innescata dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, e resa “operativa” nel 2018 da un governo di centro-sinistra, con un accordo sottoscritto con ciascuna delle tre regioni richiedenti “autonomia”. Ma anche soldi. Su questo è bene essere chiari: il presidente dell’Emilia, Stefano Bonaccini, sostiene: “noi non chiediamo un centesimo in più, chiediamo di poter gestire in autonomia alcune materie”. Studi di Ministeri, Agenzie, Svimez, mostrano come ciò NON possa corrispondere a verità. Tra l’altro, le richieste dell’Emilia riguardano (ad esempio, nel solo campo dell’istruzione): garanzia e certezza di finanziamenti, per programmare nel corso di anni, con certezza di realizzazione, interventi infrastrutturali; adeguato corpo insegnante per eliminare le classi-pollaio; attribuzione della sede agli insegnanti entro l’inizio dell’anno scolastico, per evitare “vacanze” di personale, balletti di trasferimenti, ecc .., assicurando fin dal primo giorno un proficuo e sereno anno scolastico a studenti e famiglie. Qualcuno si potrebbe chiedere (e Bonaccini stesso lo fa, chissà se in buona fede): “perché queste richieste non vanno bene? Perché, secondo alcuni, “spaccherebbero” l’Italia?” La risposta è semplicissima e immediata: perché Bonaccini le avanza PER LA SOLA Emilia! Senza contare che avere garanzie di finanziamenti, nel caso di difficoltà, significa toglierli ad altri o aumentare il debito; stabilire un congruo numero di insegnanti nella regione significa toglierli ad altre oppure assumerne in più e aumentare il debito; ecc … Quindi si, anche l’Emilia chiede più soldi!

Bisogna incalzare il governo, di cui pure la sinistra fa parte, su queste questioni.

Non si capisce bene, infatti, se nel governo prevalga una linea-Provenzano (di critica al regionalismo differenziato, di denuncia di allargamento del gap Sud-Nord, di critica a tutto l’iter, con riunioni “segrete”, solo ed esclusivamente tra governo e ciascuna regione “secessionista”, senza documenti per l’opinione pubblica e per gli stessi parlamentari) oppure una linea-Boccia (possibilista, che dichiara che l’autonomia differenziata si farà, e si farà con l’accordo della Lega; che in una commissione su questo tema chiama, sì, l’economista Gianfranco Viesti, inventore della azzeccata locuzione “secessione dei ricchi”, ma anche il leghista Maroni, e Bertolissi, costituzionalista, consulente del leghista Zaia, presidente del Veneto). Ma, dice, si devono prima stabilire i LEP, una soglia per quantità e qualità di “servizi” offerti, al di sotto della quale NON si potrà scendere, in nessuna regione, in nessun comune d’Italia. Dice bene Massimo Villone: bisogna vigilare. I LEP NON sono garanzia di uguaglianza, ma solo garanzia contro l’eccesso di disuguaglianza. Dove si colloca la soglia, al di sotto della quale si stabilisce uniformità e uguaglianza, ma sopra la quale si consente diversità e disuguaglianza? È una scelta TUTTA POLITICA, soggetta a variabili al momento non ipotizzabili e soprattutto non controllabili. Del resto la legge sul federalismo fiscale (L. 49/2009) stabilisce ad esempio una perequazione nei confronti dei territori “più poveri”. In sede ANCI è stato deciso di applicare la perequazione … fino ad un 45%; e si stima siano stati sottratti al Sud, contra legem, circa 60 miliardi l’anno; 600 miliardi finora. Un vero e proprio enorme furto!

Possiamo chiedere, senza pensare alle elezioni, di discutere, con il giusto tempo a disposizione, in Parlamento, nel Paese, con studi e documenti, la fondatezza della richiesta di autonomia su materie strategiche come istruzione, energia, infrastrutture, gestione di beni ambientali e culturali? E ancora. Perché l’Emilia (insieme con Campania e Puglia, ad esempio), non si fa promotrice di una totalmente diversa visone di autonomia? E di una perequazione integrale? E, ancora, perché non affrontare, con coraggio, forti di una “antica” e consolidata esperienza, e di una naturale predisposizione progressista e di sinistra verso “l’autonomia”, dopo più di 50-60 anni, il concetto stesso di autonomia ma anche di autonomie, di regioni, di regioni a statuto speciale? Impegniamoci a farlo.