La Prima Pietra

RISCHI DI SETTORIALIZZAZIONE DEL SAPERE

Se ho visto oltre, è perché sono salito sulle spalle dei giganti”: così scriveva Isaac Newton al suo rivale Robert Hooke nel lontano 1676, citando il filosofo medievale Bernardo di Chartres. Salendo sulle spalle dei giganti, ovvero i suoi predecessori, Newton si è posto in continuità con il passato, ma allo stesso tempo, ha visto oltre, in discontinuità, dove altri non potevano vedere, intuendo e formulando per la prima volta le leggi della gravitazione universale.

È in quest’intreccio di continuità e discontinuità che va colto il segreto dell’avanzamento della ricerca scientifica e più in generale del sapere: la continuità con il passato è necessaria così come il suo superamento. Ad esempio, senza il sistema geocentrico non vi sarebbero state le basi per formulare il sistema eliocentrico così come senza la geometria euclidea non sarebbero state possibili le geometrie non euclidee e così via. Il taglio completo del legame con il passato, una discontinuità assoluta, in nome di una supposta ed arrogante superiorità del presente, e, dal lato opposto, la sclerotizzazione del sapere, che non lascia spazio a spinte verso nuovi traguardi ed orizzonti, sono vie senza sbocco.

Declinando tutto ciò nei tempi attuali, notiamo i segni tipici di una certa decadenza intellettuale, determinata da un progressivo impoverimento e frammentazione di contenuti negli ambiti più svariati; tuttavia, in concomitanza con questi fenomeni, possono emergere inversioni di rotta che tendono a ripristinare una visione del sapere più unitaria e qualitativamente valida.

Per rendere più chiari i termini della questione facciamo qualche esempio specifico. Osserviamo la ricerca scientifica, verso cui l’attenzione si è sempre di più focalizzata, per via degli innegabili vantaggi di ordine pratico. Vediamo che questa ha sviluppato specialmente negli ultimi secoli aspetti sperimentali, raggiungendo i massimi livelli di un approccio materialistico soprattutto durante il positivismo scientifico dell’Ottocento, ma successivamente si è andata poi concentrando verso una visione unitaria e qualitativa nei diversi ambiti scientifici.

In Fisica, ad esempio, questa tendenza la possiamo ritrovare nelle teorie della relatività di Einstein: nella teoria della relatività ristretta, il concetto di tempo è stato infatti ampiamente rivisitato ed integrato in un inedito spazio-tempo quadrimensionale, superando la precedente concezione di “grandezza scalare” o di “tempo assoluto”, mentre nella relatività generale il tempo risulta “influenzabile” nel suo scorrere, sebbene in frazioni impercettibili all’uomo, dal campo gravitazionale. La teoria della relatività è stata definita come la migliore teoria sullo spazio-tempo finora concepita ed è grazie ad essa che è stata sviluppata una nuova cosmologia che ha reso possibile la comprensione di tanti fenomeni, che altrimenti sarebbero rimasti senza spiegazione.

Prima di Einstein, possiamo riscontrare concezioni qualitative riguardo la dimensione temporale nell’antica cosmologia. Si ricordi, ad esempio, le mitiche quattro età dell’umanità, oppure l’“aevum” di medievale memoria, una forma “intermedia” tra l’eternità ed il tempo ordinario in cui si riteneva che il tempo potesse dispiegarsi. Che vi fossero poi relazioni controintuitive ed antagoniste, determinate da rapporti di contrazione e dilatazione tra il tempo e lo spazio, o, come il tempo sia destinato a scorrere sempre più velocemente, fino ad un inevitabile punto di arresto, lo ho dimostrato René Guénon nel suo testo “Il Regno della quantità ed i segni dei tempi”.

Se dunque alla base di vere e proprie svolte nell’ambito del sapere vi sono paradigmi che tendono verso una nuova visione basata su determinati criteri qualitativi e di orientamento unitario, cosa si deve allora intendere esattamente con questi termini? Purtroppo, o per fortuna, questa domanda si pone in una terra di confine tra scienza e filosofia, per cui le interpretazioni che possono essere date non sono univoche. A rendere poi il panorama attuale particolarmente problematico è stato il progressivo allontanamento verificatosi nei secoli scorsi tra visione scientifica e visione umanistica del mondo; allontanamento dovuto a sua volta a cause ancora più lontane nel tempo, che consistono nella rinuncia ad un fondamento metafisico della realtà, ma l’approfondimento di questo punto meriterebbe uno studio a parte.

Per cercare di recuperare l’unità di fondo presente nel sapere umano, bisognerà quindi muoversi nella direzione opposta, verso un riavvicinamento, superando l’attuale limite della settorializzazione del sapere contemporaneo. Ricordiamo ad esempio che i primi filosofi greci erano anche dei fisici o, in un passato più recente, Leibnitz o Newton, figure che eccellevano in tutti gli ambiti dello scibile: questo perché il sapere non era così settorializzato e specialistico come risulta ai giorni nostri. In realtà, sebbene vi sia stata negli ultimi secoli una demarcazione sempre più profonda tra i suddetti ambiti è pur sempre vero, come è ben noto in storia e filosofia della scienza, che la scienza non nasce per caso ed in ambienti asettici, ma è stata di secolo in secolo influenzata dalla forma mentis o clima culturale prevalente in un dato contesto storico.

Certo, l’istanza moderna di rendere autonomo il sapere scientifico dagli altri ambiti nasce dalla legittima esigenza di non avere interferenze che ostacolino la ricerca pura, tuttavia è utopico credere che le direzioni della ricerca possano essere del tutto indipendenti da qualsiasi condizionamento. Ma, condizionamenti a parte, oggi costatiamo che buona parte della ricerca scientifica è rivolta soprattutto verso quelle applicazioni che risultino utili e promettenti ed in grado di dare importanti svolte nei più svariati ambiti della nostra esistenza. Tuttavia, proprio quest’esigenza di risvolti pratici deve insinuare il dubbio in merito all’utilizzo che vien fatto delle innovazioni tecnologiche.

Gli esiti della ricerca andrebbero infatti vagliati alla luce di parametri che non siano solo quelli legati all’utilità, ma anche etici o, per esempio, estetici. Basti citare il danno, da un punto di vista estetico, che l’inquinamento luminoso ha comportato nell’impedirci di poter osservare in città un cielo stellato, oppure si pensi ai rischi del nucleare o a tutti quei casi in cui la tecnologia sembra aver oltrepassato le frontiere dell’etica. Ma ancor prima di spostarsi sul piano delle conseguenze, constatiamo un vizio di forma iniziale che consiste nel non vedere come tutti gli ambiti dell’esistenza umana siano strettamente collegati, in quanto l’esistenza dell’essere umano in sé non è né “scientifica” né “umanistica”. Ciò che può portare ad un vantaggio da un punto di vista pratico, a seguito di innovazioni tecnologiche, può determinare dei danni su altri piani dell’esistenza umana e viceversa, poiché l’uomo non è fatto a compartimenti stagni. Se consideriamo poi la scienza e la filosofia come due aspetti di una stessa attività conoscitiva, ci rendiamo conto che sviluppare una visione puramente scientifica del mondo a scapito di quella umanistica, o viceversa, non ha molto senso.

Ad esempio, a seguito delle recenti scoperte astronomiche, che hanno misurato l’attuale universo osservabile in termini di 46 miliardi di anni luce, come posizioniamo il genere umano all’interno di questo spazio sterminato? Ci limitiamo semplicemente a costatare i fatti, ovvero che l’uomo vive su un pianeta per lui incommensurabile di fronte al quale egli è solo un granellino di sabbia; ma anche la Terra rapportata a tutto il resto dell’universo è a sua volta soltanto un altro granellino di sabbia che “vaga” per lo spazio girando vorticosamente su se stessa, seguendo traiettorie determinate dall’alterazione gravitazionale dello spazio-tempo, ad una velocità (relativamente ad un sistema di riferimento) inimmaginabile? Oppure cerchiamo di dare a tutto ciò un senso superiore, una finalità che vada oltre la semplice costatazione dei fatti?

I dati finora raccolti indicano che in tutto l’universo conosciuto l’uomo è l’unico essere vivente ad essere consapevole di tutto ciò: di fronte a questi spazi sterminati egli non sarebbe nulla se non fosse proprio per questa consapevolezza, che se da una parte non lo rende di certo meno solo, dall’altra lo pone però in una relazione privilegiata con il resto dell’universo. Dato che è sempre questa consapevolezza che permette poi di dare un senso alla stessa ricerca scientifica (che diversamente resterebbe solo una mera raccolta di fatti e di risultati di esperimenti), non possiamo scorgere in essa quel filo di Arianna che potrebbe condurci oltre la semplice realtà fisica, ovvero verso una prospettiva meta-fisica?

Purtroppo, le considerazioni appena esposte sono considerate marginali negli ambienti scientifici e lo sviluppo della scienza sembra proseguire apparentemente in assenza di una riflessione approfondita di questo tipo; la filosofia sembra restare in silenzio di fronte ad uno sviluppo tecnologico prodigioso, in grado di produrre enormi cambiamenti, con la capacità di “stupire” un pubblico che però resta in gran parte all’oscuro delle scoperte teoriche sottostanti che hanno determinato le stesse innovazioni tecnologiche.

Probabilmente quest’assenza di una prospettiva, il tacere della filosofia, potrà condurre la scienza in una di quelle strade senza uscita di cui parlavamo all’inizio. Ci sono infatti diversi segnali che per superare alcune aporie della scienza attuale, sarà necessario forse non solo adottare nuovi modelli teorici, ma anche nuove prospettive cosmologiche. Basti citare come esempio l’attuale impossibilità di unificazione della teoria della relatività con la teoria della meccanica quantistica, ovvero le due principali teorie, assieme alla termodinamica, che oggi riescono a dare la spiegazione di molti fenomeni fisici.

Ma, per non fermarsi semplicemente a rilevare delle aporie senza avanzare anche delle soluzioni, riprendiamo il fil rouge della consapevolezza per integrarlo con ulteriori considerazioni. Se infatti la consapevolezza fa dell’uomo, come abbiamo detto, un essere privilegiato in tutto l’universo, vero è che resta in qualche modo legata alla soggettività autocosciente; sempre che ci riferiamo ad una consapevolezza relativa e non assoluta. Ma oltre la consapevolezza, abbiamo un’altra caratteristica propria del genere umano, ovvero la razionalità, la quale dimostra invece di essere in grado di dare spiegazione, attraverso la logica, sia delle leggi del pensiero del soggetto ma anche del funzionamento del mondo oggettivo: si ricordi di Parmenide quando asseriva che pensare ed essere coincidono. La Logica è poi il naturale punto di incontro tra Filosofia e Matematica, discipline appartenenti rispettivamente all’ambito umanistico e scientifico, oltre ad essere disciplina comune a tutte le scienze, le quali non possono prescindere in nessun modo dalla necessità di essere logiche.

Per questo motivo alcuni princìpi primi della logica sono poi i princìpi primi di ogni dimostrazione: analizziamo per esempio il primo principio della logica detto principio di Identità. Questo principio è di un’evidenza tale che non necessita di alcuna dimostrazione; infatti, si dice che è autoevidente. Il principio di identità afferma: A=A. Dal primo principio di identità deriva poi il principio di non contraddizione: A non può essere non-A. È questo principio che ci consente di escludere le risposte sbagliate o assurde derivate da un’argomentazione.

Il principio di identità è poi il presupposto di qualsiasi procedimento matematico. Infatti, se 1=1 allora 1-1=0, eguaglianza che corrisponde allo schema delle equazioni. Analoghe dinamiche possono essere riscontrate, ad esempio, nella fisica delle particelle: se una particella si scontra con un’antiparticella, si annulla. In medicina, precisamente nell’immunologia, si può ritrovare un’applicazione del principio di identità nel funzionamento del sistema immunitario, nella teoria del self contro il non-self. In teologia, ritroviamo un’espressione del principio di identità nell’affermazione di Dio nel Vecchio Testamento: “Io sono Colui che sono”. (Esodo: 3,14). Come si vede, i riferimenti sono molteplici.

Inoltre, alcune questioni cruciali della storia della fisica potrebbero essere vagliate meglio sia da un punto di vista logico che terminologico. Si pensi, ad esempio, a come il termine “vuoto” sia stato utilizzato ambiguamente in fisica ed in sostituzione dell’Etere. L’Etere non è stata un’invenzione degli scienziati dell’Ottocento per spiegare la propagazione della luce, ma ha origini lontane.

Il “quinto elemento”, secondo l’antica cosmologia greca e medievale, era ciò da cui sono stati generati gli altri quattro elementi, ma che restava in sé stesso non direttamente sperimentabile nella vita quotidiana. Dimostrare l’esistenza, di qualcosa che non può essere per sua natura esperito è una palese assurdità: ricercare la prova del “vento d’etere” o l’“etere meccanico”, resta un non senso in termini logici. Data l’intangibilità sperimentale dell’etere lo si è quindi sostituito con il vuoto, ma cosa significa allora esattamente il termine “vuoto”?

In natura non esiste un vuoto assoluto, ma solo relativo, poiché l’universo ci dimostra che tutto è pervaso di essere ed il nulla o vuoto assoluto è una pura impossibilità logica che non ha nessun diritto all’esistenza, per ricordare ancora una volta Parmenide. Forse, ma si tratta di una pura ipotesi, una corretta interpretazione del vuoto, che sarebbe poi in definitiva una nuova visione cosmologica non priva di implicazioni gnoseologiche, potrebbe indicare la via verso l’unificazione della teoria della relatività e della meccanica quantistica, anche alla luce del fatto che entrambe le teorie hanno rettificato la precedente concezione di un vuoto assoluto.

Declinando poi la logica nelle sue funzioni argomentative, possiamo iniziare a porre delle domande di carattere generale; alcune le abbiamo già esposte precedentemente. È corretto parlare da un punto di vista logico di una scienza che non sia anche etica o estetica? Quali potrebbero essere le conseguenze di una scienza completamente slegata da questi ambiti? Quali sono le nuove prospettive filosofiche aperte dalla recente ricerca scientifica? È possibile sviluppare una scienza ed una tecnologia in assenza di un fondamento filosofico e metafisico senza che si arrivi ad un punto di arresto? È possibile che la tecnologia, che nasce come utilizzo delle forze presenti in natura (elettricità, calore, onde elettromagnetiche, atomi etc.) al fine di dominarla e creare un vantaggio per l’uomo, possa soccombere e, con essa l’uomo, nel momento in cui tali forze dovessero sfuggire di controllo, soprattutto in contesti particolarmente complessi?

Per dare delle valide risposte a queste domande, dobbiamo però tener conto del contesto in cui sono state formulate; un contesto attuale che vede la filosofia relegata nell’ambito della soggettività mentre la scienza nell’ambito dell’oggettività, venendosi così a determinare una sorta di polarizzazione che vede da una parte un dubbioso e fragile relativismo filosofico “soggettivo”, sul quale invece si staglia vittoriosa la scienza, grazie alla sua “oggettività” e grazie anche agli indiscutibili vantaggi pratici derivanti dalla tecnologia.

Tuttavia, la ricerca scientifica che si pone come sviluppo indefinito senza limiti è destinata a scontrarsi proprio con il limite che le deriva dal non accettare che oltre all’oggettività del mondo esiste il mondo del soggetto, altrettanto reale e complesso come il mondo dell’oggetto, e lo stesso problema, specularmente opposto, si pone naturalmente per la filosofia.

A questo punto inizia a divenire chiaro che la soluzione di questa polarizzazione dovrebbe emergere proprio superando gli orizzonti limitati della soggettività e dell’oggettività in modo tale da slegare di conseguenza il sapere, inteso nella sua formulazione più ampia possibile, dalle odierne “cristallizzazioni” filosofiche e scientifiche. Per quanto ciò possa sembrare un po’ fuori dagli schemi ordinari di pensiero, bisogna procedere, da un punto di vista metodologico, puntando verso ciò che è anteriore, precedente, alla stessa differenziazione soggetto-oggetto o dei diversi punti di vista parziali e limitati.

Per esprimere tutto ciò, ci riferiamo quindi al concetto di “Totalità”: questa è superiore ed anteriore non solo alle singole parti (e quindi anche alla differenziazione soggetto-oggetto) ma anche alla loro somma; inoltre deve essere considerata come Infinita, ovvero priva di qualsiasi limitazione di qualsiasi tipo. Infatti, una Totalità finita non sarebbe Totalità, poiché lascerebbe “fuori di sé” qualche altra cosa nella sua finitezza.

Inoltre, tutte le parti pur essendo elementi della Totalità non la esauriscono minimamente, poiché ciascuna di esse rapportata alla Totalità infinita non rappresenta nulla; né la somma, di tutte le parti riuscirà mai a restituirci come risultato la Totalità, così come, ad esempio, spostandoci nell’ambito del finito, l’assemblamento di tutti gli organi di un qualsiasi organismo non potrà mai dare come risultato lo stesso. Per questo motivo, ad esempio, l’intelligenza artificiale, che è solo il risultato di una delle tante applicazioni dell’intelligenza umana, ovvero una sua parte, non potrà mai diventare intelligenza umana e sostituirsi completamente ad essa.

Una volta accettato questo presupposto teorico abbastanza evidente, resta da capire come procedere per realizzarlo. Ebbene, si è sempre visto nell’atto conoscitivo il mezzo che consente all’uomo di superare i limiti inerenti alla propria natura finita, e quindi, più in generale, i limiti della stessa dualità soggetto-oggetto, in quanto capace di mettere in comunicazione due mondi, quello del soggetto e quello dell’oggetto, i quali, diversamente, resterebbero separati e non comunicanti.

Si può dire, in linea di principio, che la Conoscenza abbia la stessa natura della Totalità, ovvero che è infinita, mentre sono i singoli soggetti conoscenti ad avere, chi più chi meno, delle limitazioni…fin quando queste non cessano di esistere. Infatti, le stesse limitazioni, come abbiamo detto, per quanto possano sembrare reali, possono essere considerate inesistenti rapportate alla Totalità di cui fanno parte.

Anche se l’uomo contemporaneo non ne è pienamente consapevole, è proprio questa tensione conoscitiva verso un continuo superamento dei limiti, che lo spinge a porsi sempre nuovi traguardi e vette da scalare, fino a voler varcare con i viaggi spaziali i limiti planetari. Tuttavia, come abbiamo spiegato, non si tratta solo semplicemente di superare i limiti del mondo esteriore, spingendo indefinitamente sempre un passo più avanti i confini dell’esplorazione dell’indefinitamente piccolo o indefinitamente grande, ma anche di superare i limiti propri del soggetto, ovvero limiti di carattere interiore.

La Conoscenza, ponendosi come superamento e negazione di qualsiasi limite, soggettivo ed oggettivo, o, interiore ed esteriore, si identifica come abbiamo detto con la Totalità stessa, e, per questo motivo, come la Totalità stessa, è per sua natura anteriore alla polarizzazione soggetto-oggetto così come, ad esempio, le leggi della logica o le verità matematiche per poter essere scoperte, devono necessariamente essere anteriori alle loro scoperte e formulazioni. Trascendente, nel senso di andare oltre le limitazioni, e non duale, poiché tendente verso l’unità anteriore alla differenziazione, la Conoscenza è in grado, se sviluppata in tutte le sue possibilità, di offrire una visione unitaria dell’uomo e dell’universo.

Detta visione, inoltre, non necessariamente dovrà essere rinchiusa esclusivamente in delle formule matematiche: le formule, infatti, possono aiutare a comprendere il funzionamento del mondo ma non sempre riescono ad esprimere l’essenza di ciò che si osserva. Non ci risulta infatti che esista una formula capace di esprimere l’essenza della vita o della morte! Anche il termine stesso “Universo” rimanda etimologicamente al concetto di “unità” (unum) e di “essere rivolto” (versus), per cui indica una direzione nell’unità o verso l’unità ed è in questa definizione, in parte numerica ed in parte non, che è celato il segreto della sua natura.

Probabilmente le dinamiche che abbiamo descritto non saranno molto condivise all’interno delle attuali correnti filosofiche o scientifiche; tuttavia, da un punto di vista teorico, non è lo stato attuale di questa diffusione o condivisione a poter determinare il valore assoluto che si deve conferire al sapere e quali possano essere o meno le sue reali potenzialità. In conclusione, sebbene siamo consapevoli di aver solo sfiorato certi argomenti che per la loro complessità non possono essere esauriti in poche righe, non si è rinunciato, ciononostante, ad indicare alcuni strumenti (l’unicità della consapevolezza, la razionalità della Logica ed un’autentica teoria della Totalità e della Conoscenza) quale possibile via di uscita per superare l’attuale impasse in cui si è arenato l’uomo contemporaneo. Come ciò si potrà sviluppare nella realtà non è facile prevederlo; tuttavia, come sempre, è necessario iniziare a porre delle basi teoriche per poter poi vedere realizzato successivamente quanto descritto all’inizio da un punto di vista puramente teorico.

Exit mobile version