PREMESSE

Ho prodotto questa nuova analisi, nel tentativo di scovare e quantificare differenze nelle curve epidemiche tra regioni di particolare rilievo epidemiologico, prendendo in analisi Lombardia e Veneto nel Nord e la Campania nel sud, come regione più colpita nel meridione del Paese. Il fine ultimo di questa analisi e capire se le regole imposte dalla cosiddetta fase 2, è ragionevole che siano comuni a tutte le regioni.

Anticipo che i dati comparativi che presento suggeriscono fortissime differenze nelle curve epidemiche tra le realtà regionali prese in esame. Benché questo non possa essere automaticamente esteso alle altre regioni, il campionamento di tre regioni che hanno riportato un elevato numero di contagi (la Campania è la regione meridionale con il numero più elevato) è fortemente indicativo di questa difformità. Viene ovviamente da chiedersi se sia logico prevedere l’allentamento delle misure di contenimento per TUTTE le regioni italiane, senza tenere conto della specificità delle curve epidemiche, i cui andamenti possono essere molto differenti.
Benché io comprenda le motivazioni politico-economiche che sono alla base dei provvedimenti presi dal governo, e mi renda conto delle difficoltà di assumere decisioni in un contesto nel quale non c’è alcuna esperienza pregressa, non posso non chiedermi se non sarebbe stato più sensato imporre una fase 2 differenziata a seconda delle realtà regionali. Il rilancio di tutte le attività produttive si impone, ovviamente, ma al prezzo di una messa in sicurezza rigidissima dei lavoratori (che poi significa anche sicurezza collettiva) e di controlli estremamente rigorosi, da esercitarsi specialmente nelle regioni che hanno fin qui mostrato limiti gestionali gravissimi.

Per i cittadini la situazione è diversa. Come è già chiaro a tutti e come lo sarà ancora di più sotto il peso dei grafici, non si può certo dire che andare a prendere una pizza da asporto a Milano presenti le stesse criticità che andarla a prendere a Padova o a Napoli. Il governo dovrebbe giustificare ad un cittadino campano, che vive nella regione a più alta densità abitativa del paese, ma che ha saputo contenere l’epidemia, perché dovrebbe sottostare alle stesse restrizioni di un cittadino lombardo, in una regione in cui, benché apparentemente in riduzione, l’epidemia è ancora pericolosamente attiva.
L’analisi che ho condotto suggerisce, attraverso lo studio dell’evoluzione della malattia, che l’epidemia poteva essere contenuta anche in Lombardia, dove anche i numeri portano a suggerire una trascuraggine, un’approssimazione ed un’incoscienza che ancora perdurano, senza un minimo accenno a ripensamenti. Il confronto avrebbe dovuto essere fatto con le tre regioni contigue (Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna), che per ovvi motivi epidemiologici sono state più esposte all’epidemia lasciata dilagare senza controllo in Lombardia. Io ho scelto il Veneto perché in quella regione i meccanismi di contenimento sono stati precoci, efficienti ed efficaci (come sarà chiarissimo nelle figure), nella misura in cui politici e consulenti si sono allertati ancor prima che l’epidemia fosse rivelata, hanno individuato le possibili sorgenti principali del contagio, mettendo rapidamente in sicurezza gli ospedali, ad esempio, e calibrando l’elevatissimo numero di tamponi effettuati su precise strategie di tipo epidemiologico e preventivo, con il coinvolgimento della medicina di base.

EVOLUZIONE DEL CONTAGIO

La prima figura (figura 1) rappresenta bene il caos esistente tra variazione quotidiana del numero di tamponi e variazione quotidiana del numero dei casi. I pallini pieni rappresentano le regioni che hanno fatto più tamponi. Non è possibile identificare nessun rapporto matematico logico, tra variazioni giornaliere di tamponi effettuati e variazioni giornaliere del numero di casi accertati, io credo perché ogni regione ha seguito criteri propri per effettuare i tamponi.
Fig.1

Tra le regioni che hanno effettuato più tamponi, l’unica coerenza si può osservare nella regione Veneto nella quale è chiaramente visibile (figura 2) una iniziale ascesa del numero dei casi accertati con il numero dei tamponi, indizio che in quella regione è stato seguito un criterio di tracciamento efficace, seguito poi da una discesa, che proprio in virtù dell’iniziale ascesa (e quindi di un criterio efficiente ed efficace), dimostra inequivocabilmente la riduzione della capacità di contagio dell’epidemia, quando all’aumento del numero dei tamponi non corrisponde più un aumento dei casi identificati, ma anzi una tendenza alla riduzione. Come si vede dalla figura 2, la variazione del rapporto in Veneto avviene quando si arriva ai 5000 tamponi quotidiani, una cifra che viene toccata il 24 marzo (come è chiaro nella figura 3), quindi molto vicina alla data che io avevo già precedentemente identificato come picco epidemico.
Fig.2
Fig.3

In Lombardia la dispersione del rapporto tra variazione quotidiana del numero di tamponi e variazione quotidiana del numero dei casi è notevolmente più alta e molto meno significativa di quanto si verificava in Veneto (figura 4), segno che, rispetto al Veneto, la distribuzione dei tamponi giornalieri non è stata guidata da criteri solidi. Anche nel caso Lombardo, il rapporto tra variazione dei tamponi e variazione dei casi viene al meglio descritta da un’equazione di tipo cubico, come nel Veneto, ma la variazione del numero dei casi è solo minimamente spiegata dalla variazione del numero dei tamponi (solo per il 12%), segno questo di criteri meno definiti, per non dire caotici, con i quali si sono effettuati i tamponi in Lombardia, benché come si vede nella figura 5 andamento temporale e numeri sono esattamente gli stessi del Veneto.
Fig.4

Fig.5

Malgrado i criteri più stringenti con cui sono stati effettuati i tamponi in Veneto per tracciare i contagi e la sostanziale equivalenza di tamponi effettuati nelle due regioni, il numero di casi accertati in Lombardia è soverchiante rispetto al numero di casi in Veneto (figura 6, presentata su due scale diverse, per confronto con figura 7).
Fig.6


Fig.7

La figura 6 conferma che il picco epidemico viene raggiunto in Veneto il 22 Marzo (come mostra bene la magnificazione in alto a destra) e che una fase di plateau viene mantenuta fino al 9 Aprile, quando la curva epidemica comincia a scendere. Volendo considerare ottimisticamente il risultato raggiunto il 25 aprile in Veneto, con 162 nuovi casi accertati, va osservato che questo numero è identico al numero che veniva registrato l’11 Marzo, quando però il numero di tamponi effettuato era ben inferiore (2000 circa), segno di una effettiva riduzione del numero dei contagi.
Come si vede dalla comparazione tra figura 6 e figura 7, riportate su identica scala, il numero di casi accertati giornalmente in Lombardia è enormemente superiore a quello in Veneto, e l’andamento in discesa è meno chiaro di quanto non si colga in Veneto (al 25 Aprile 713 nuovi casi accertati verso 162). Dunque, la situazione epidemiologica delle due regioni non sembra comparabile, con l’epidemia ancora in piena attività in Lombardia.
Marcatamente differente si presenta poi la situazione in Campania. Il rapporto tra variazione quotidiana del numero di tamponi e variazione quotidiana del numero dei casi è simile a quella del Veneto, anche se con numeri molto più ridotti, come si vede nella figura 8, riportata sulla stessa scala delle figure 2 e 4, per una più agevole comparazione. Il coefficiente di determinazione (R2), che indica in che proporzione la variabilità dei casi giornalieri potrebbe essere spiegata dalla variabilità dei tamponi, è molto alto (42%), più alto persino del Veneto (34%), ma l’andamento della curva è del tutto simile, così come è
simile anche la variazione nel tempo dei tamponi eseguiti (il grafico piccolo in alto a destra della figura 8).
Fig.8

Questi numeri e questi grafici indicano che anche in Campania, come in Veneto, malgrado il numero estremamente ridotto di tamponi effettuati, potrebbero essere stati seguiti criteri epidemiologici di tracciamento dell’epidemia (criteri di cui non conosco, tuttavia, i dettagli) che hanno condotto a risultati analoghi a quelli ottenuti in Veneto.

Anche in Campania, l’epidemia è stata estremamente contenuta, come si vede in figura 9 comparativa con le figure 6 e 7, e nella sua magnificazione in alto a destra.
Fig.9

A differenza di quanto avvenuto in Lombardia ed in Veneto, tuttavia, il picco epidemico in Campania viene toccato con quasi 2 settimane di ritardo, molto probabilmente a causa del dissennato afflusso dal nord del paese, subìto in più ondate a partire dall’inizio del lock down, ma la discesa è ancor più chiara che in Veneto e Lombardia.

LIMITI DELLA REGISTRAZIONE UFFICIALE DEL NUMERO DEI CONRAGIATI

Tuttavia, per tutte e tre le regioni di cui abbiamo esaminato l‘andamento dei casi in relazione all’utilizzo del campionamento mediante tamponi, va sottolineato che la interconnessione tra tamponi effettuati e casi accertati non è valutabile precisamente, per almeno due ragioni. La prima è che, come più volte detto, e come dimostrato nella presente analisi, le regioni sono andate in ordine sparso con criteri non omogenei o francamente caotici nel tentativo di monitorizzare l’epidemia. In questo caso i numeri mostrano che in Veneto e Campania si sono adottati criteri che hanno reso almeno omogeneo il campionamento (in Campania, tuttavia, a scapito dell’identificazione di molti casi lievi rimasti a casa senza diagnosi e guariti in maniera spontanea, come aneddoticamente potrei riferire), mentre in Lombardia le curve di distribuzione suggeriscono che il campionamento sia avvenuto con criteri disomogenei se non francamenti privi di logica.

La seconda ragione è che il riferimento quotidiano al numero dei tamponi porta con sé un errore sistematico difficilmente superabile, perché il risultato dei tamponi viene rilasciato con alcuni giorni di ritardo, un ritardo che può essere di un paio di giorni così come di una settimana, un range di tempo variabile da regione a regione. Così, il riferire la variazione del numero dei casi del giorno x allo stesso giorno x in cui si campiona “diluisce” la relazione (regression dilution bias). In questo caso specifico, tuttavia, poiché lo scopo principale è quello di verificare se una relazione di qualche tipo esiste, ma non di quantificarne l’effetto (che comunque pure ho riportato), questo tipo di errore statistico può essere tollerato, ma rende il risultato instabile.

Dunque, l’incidenza di nuovi casi non sembra un indicatore solidamente attendibile, specie se riportato su scala nazionale e riferito, come la comunicazione fa quotidianamente, ai tamponi effettuati, un risultato che risente del caos lombardo (non ho ancora analizzato i dati piemontesi, ma sospetto che siano della stessa natura di quelli lombardi).

Un indicatore prospettato da molti come più efficace nel dipingere la curva epidemica è il numero degli accessi ospedalieri (figura 10).

Fiug.10

Questo numero non segue quello dei contagi ed in generale questo disaccoppiamento viene attribuito al numero dei tamponi, che viene sempre riportato. Tuttavia, questo potrebbe non essere vero, mentre potrebbe darsi che la riduzione del numero degli accessi ospedalieri dipenda (anche) dal fatto che in alcune regioni (e penso al Veneto, dove l’infrastruttura di medicina di famiglia esiste ed è forte) si sta intervenendo precocemente a domicilio molto più di quanto non sia stato fatto in Lombardia dove la medicina di base è stata praticamente esclusa dagli interventi. La figura 10 mostra la drammatica differenza nell’andamento cumulativo dei ricoveri nelle tre regioni, differenza resa ancor più evidente se si osservano le variazioni giornaliere dei ricoveri (figura 11).

In questa figura si coglie chiaramente il controllo dell’epidemia ottenuto in Veneto e Campania ed il caos Lombardo con dati che sembrerebbero tendere al favorevole solo negli ultimi giorni, ma che andranno naturalmente consolidati, date le significative fluttuazioni registrate a partire dal 29 Marzo.

CONCLUSIONI

Le marcate differenze registrate tra le tre regioni prese in esame, suggeriscono che l’imposizione delle stesse regole in tutte le regioni, senza tener conto delle differenze di tipo epidemiologico, non ha molto senso. Mentre in regioni come Veneto e Campania l’epidemia appare se non spenta almeno ben controllata, in Lombardia il rischio di una riesplosione incontrollata è altissimo, specie se le deficienze chiaramente emerse non verranno corrette. Limitare le libertà individuali indiscriminatamente in tutto il paese, rinunciando a differenziare opportunamente le situazioni e a promuovere una martellante campagna di sensibilizzazione personale è un grave errore politico che può diventare esiziale e che va prontamente corretto.

 

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