Vorrei provare a spiegare in termini semplici ma chiari qual è il problema che il paese sta affrontando, e di che cosa, allo stato attuale delle conoscenze, dovremo aver veramente paura. Chiedo scusa per l’utilizzo di definizioni in inglese, ma mi è più semplice piuttosto che andare a cercarmi i termini in italiano.
Come ripetutamente detto, il pericolo di questa nuova malattia è nella sua diffusibilità, a non nella sua letalità, od almeno questo dicono i dati finora.

Voglio, tuttavia, prima parlare della letalità del COVID-19, analizzando i numeri relativi all’epidemia di influenza stagionale (flu in inglese) ed i dati che fornisce il Center for Disease Control (CDC) di Atlanta, in Georgia, USA (https://www.cdc.gov/flu/about/burden/preliminary-in-season-estimates.htm).

Nella figura si vede che il numero di ammalati presumibilmente di influenza è stato fino al 22 febbraio tra 32 e 45 milioni (la doppia cifra si chiama intervallo di confidenza e si usa quando non è possibile fornire una cifra precisa, come in questo caso). Sulla destra in alto c’è invece il numero di visite mediche che potremmo imputare ai casi meno lievi che hanno richiesto il consulto del medico. Nel quadrante in basso a sinistra c’è l’intervallo di confidenza del numero di accessi ospedalieri, quindi i casi più gravi, ed infine in basso a destra si vede il numero di decessi attribuibili al’influenza. Rapportato al numero di accessi ospedalieri, il tasso di fatalità (case fatality rate) si pone in una forchetta tra il 3.2% nella migliore delle ipotesi (sorprendentemente simile a quello riportato in Cina per il COVID-19) ed il 15% nello scenario più pessimistico. Numeri abbastanza impressionanti, che però si riducono drammaticamente quando questa misura di mortalità viene rapportata la numero di pazienti che sono andati a visita medica, quindi ai casi non lievi, diciamo: nella peggiore delle ipotesi il tasso di mortalità scende allo 0.3%. Se poi è rapportato al numero complessivo dei contagi diventa lo 0.1% (il quadrante in alto a sinistra). Come si vede si può conoscere con precisione il numero di morti e presumere che siano tutti dovuti alla malattia in questione, ma è difficilissimo capire la pericolosità generale di una malattia, se non si ha chiaro qual è in denominatore del rapporto con il quale si ha a che fare. Nel caso del COVID-19, l’unico denominatore sicuro è quello fornito dalla Cina con i suoi ricoveri ospedalieri. I quadranti superiori della figura sono per il COVID-19 sconosciuti. Quindi il reale tasso di mortalità non è calcolabile, ma solo ipotizzabile. Ma c’è un altro fattore e di cui si parla poco: il tempo.

La cifra di 560.000 ospedalizzazioni attribuibili al’influenza è certo impressionate in termini assoluti, ma in realtà è diluita su di un arco temporale di 5 mesi. Quindi se è vero che il tasso di ospedalizzazione rispetto al numero di visite effettuate potrebbe arrivare al 4% (cioè 560.000/14.000.000×100), in realtà questa percentuale riguarda un arco di tempo piuttosto lungo, che consente al servizio sanitario americano di assorbire la richiesta, e dimostra anche che la capacità di contagio dell’influenza non è preoccupante, relativamente alla capacità del servizio di farle fronte. Questa favorevole contingenza dipende essenzialmente dalla capacità di contagio della malattia e dalla rapidità della sua diffusione.

La capacità di contagio di una malattia infettiva si misura con un indice che si chiama “basic reproduction number” e viene identificato dalla sigla R0. L’R0 rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte quando un individuo infetto entra in contatto con una popolazione nella quale TUTTI sono suscettibili all’infezione. Se R0 è superiore ad 1 l’agente infettante causerà un’epidemia, mentre se è inferiore ad 1 l’epidemia tenderà ad estinguersi.

L’influenza in aree protette dal vaccino (e quindi in aree in cui non tutti sono suscettibili all’infezione) ha un R0 di poco superiore ad 1, e questo le consente di diffondersi come si diffonde. Al contrario, il COVID-19 potrebbe arrivare ad avere un R0 di 2.8, una capacità di diffusione veramente alta. Della capacità di contagio di questo virus ci eravamo accorti subito, ma forse pochi di noi si aspettavano un risultato di questa grandezza. Questo numero ci mette di fronte ad uno scenario che da un lato può sembrare apocalittico e dall’altro tranquillizzante.

L’aspetto molto negativo è che, se effettivamente l’R0 è così alto, il contagio avviene a macchia d’olio e ad oggi nel mondo potrebbero esserci diverse decine di milioni di persone colpite dal virus. Il che significa che se ci mettessimo a cercare il virus in tutti i casi di raffreddore ed influenza, lo troveremmo, specie in popolazioni vaccinate per l’influenza. E non solo in Italia, dove la ricerca è stata estesa in modo isterico.

D’altra parte, però, e questa sarebbe la buona notizia, se le cose stessero così, il tasso di mortalità sarebbe estremamente basso, minore di quello dell’influenza, benché potrebbe essere legato ad un numero molto elevato di ricoveri tutti in un arco temporale ristretto. Faccio un esempio che spero chiarisca.

Il numero elevatissimo dei ricoveri (casi gravi) può dipendere da una altissima letalità del virus, ovviamente, ma anche da una diffusione enorme. In altri termini, 1000 ricoveri di casi gravi possono essere provocati sia da 10000 contagiati di un virus che si presenta con il 10% di casi gravi, sia da un virus che nello stesso lasso di tempo ha infettato 1.000.000 di persone, quindi con un rischio di casi gravi di 0.1%, cioè di un caso su mille. L’impatto sul sistema ospedaliero sarà esattamente lo stesso. La crisi di un Sistema Sanitario, di fronte ad un assalto di questo tipo riguarda non solo l’organizzazione, il personale e le strutture, la logistica in una parola, ma anche la disponibilità di posti letto per altre patologie più incidenti sui territori.

L’elevato numero di ricoveri nel caso del COVID-19 potrebbe più aver a che fare con l’estensione dell’epidemia, che con la sua gravità generale. Ma sul piano organizzativo un sistema sanitario può essere messo in  ginocchio anche se non fragile, ed il nostro non lo è. A questo si aggiunga che le maglie dell’ammissione in ospedale in questo momento sono verosimilmente più larghe che in una condizione normale, perché gli operatori sanitari sono spaventati anche per le conseguenze legali che un errore potrebbe avere. Ci si ammala, ci si ammalerà di COVID-19 e, se il suo R0 è così alto, noi non potremo fermarlo. Ma possiamo rallentare la sua azione, per fare in modo che il servizio sanitario non collassi.

La cosa più importante è il senso di responsabilità individuale, che implica naturalmente un gran senso civico, del che è lecito dubitare. L’accortezza e la responsabilità individuale sono le nostre difese più importanti. Ecco perché le misure adottate dal Governo e le raccomandazioni sono opportune, in mancanza di dati certi, finché i dubbi non saranno chiariti. Anzi, sarebbe auspicabile un intervento urgente in cui sottrarre alle regioni la loro dissennata autonomia in materia sanitaria riportando tutto ad una strategia centralizzata che è l’unica reale possibilità di intervento politico che abbiamo per contribuire a rallentare l’epidemia.

 

Image by Gerd Altmann from Pixabay