Ad oggi a che siamo arrivati con le richieste di autonomia differenziata da parte di tre regioni? Le preziose, puntuali e coraggiose analisi della SviMez, presieduta da Adriano Giannola, già ordinario di  Economia Bancaria all’Università di Napoli Federico II, e diretta da Luca Bianchi, mostrano come, al di là di mezze verità sulla cosiddetta spesa pubblica per i vari territori, usando i “numeri” forniti dall’osservatorio sui Conti Pubblici Territoriali (CPT), attualmente la complessiva spesa pro-capite al Nord è molto più alta che al Sud.

I dati della Ragioneria Generale dello Stato (RGS), nella pubblicazione La spesa statale regionalizzata riportano ad esempio per l’anno 2017 la stima della spesa dello Stato con riferimento alla sola quota di spesa regionalizzata, che risulta pari al 43.4 % del totale della spesa dello Stato.  Il rimanente 56.6% è costituito da spesa non regionalizzabile per la RGS (23%) e da erogazioni ad Enti e Fondi considerate non regionalizzate (33.6%).

I dati CPT (Conti Pubblici Territoriali) si riferiscono ai flussi finanziari (pagamenti definitivi e riscossioni effettivamente realizzate) dell’intero operatore pubblico, di cui la spesa dello Stato è una parte.  Tali informazioni consentono di effettuare analisi su due universi di riferimento: Pubblica Amministrazione (PA) e Settore Pubblico Allargato (SPA), che  comprende, oltre alla PA, i flussi finanziari di soggetti, nazionali e locali, per le quali è possibile riscontrare un controllo (diretto e indiretto) da parte di Enti Pubblici. I CPT effettuano un’operazione di ulteriore regionalizzazione del dato che la RGS considera non regionalizzata o non regionalizzabile. Il 47.8% della spesa non regionalizzata dalla RGS riguarda le Politiche previdenziali, mentre il 17.6% riguarda la spesa in Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, ovvero due dei comparti cruciali per le richieste di regionalismo differenziato; tali spese vengono escluse, in prima battuta, dalla regionalizzazione, poiché gli erogatori sono gli enti di previdenza. Alcuni dei servizi essenziali al cittadino (Trasporti, Servizi igienico-ambientali, ecc …) che fanno la differenza sia in termini di qualità della vita sia di distribuzione delle risorse pubbliche, sono gestiti non dallo Stato, ma da altri soggetti, sia strettamente pubblici (come le Regioni attraverso le ASL per la sanità), sia “partecipati”, come si dice, da questi, e quindi limitarsi al solo “Stato” (o addirittura sulla sola PA) può fornire una visione distorta dell’effettivo “finanziamento”! Ad esempio i  CPT documentano (media 2014-2016) di come la spesa complessiva pro-capite a favore dei cittadini del Centro-Nord sia di circa 17.000 euro, e di circa 13.300 euro per quelli del Sud. Non ha nessun riscontro quindi l’affermazione che “al Sud lo Stato spende di più”. Anzi! Recentemente Adriano Giannola, in attesa della definizione dei LEP per stabilire i fabbisogni, respingendo come inique ed inutilizzabili, scelte come quella della spesa storica o appunto della media pro-capite della RGS, ha ipotizzato, per “partire” comunque, anche senza aspettare i LEP, una media pro-capite degli ultimi dieci anni della spesa storica secondo i CPT, che, inoltre, tenga conto della restituzione di imposte sotto forma di interessi pagati sui titoli di Stato, nella stragrande maggioranza pagati al Nord! E quindi, secondo Giannola, di qui si spiega la “fretta” di chiudere il discorso sulle “risorse” da parte di Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, per impedire che, studiando a fondo le cose, come ha fatto recentemente l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, si scopra come sono le regioni del Nord a dover “cedere” qualcosa, e non certo destinate a “ricevere” più soldi.

Un altro tema, trattato un po’ da tutti, riguarda ovviamente il ruolo del Parlamento. Se da un lato, i promotori spingono per un accordo quasi “privato” (e difatti, in questi termini si è andati avanti da mesi, con centinaia di incontri, a detta dello stesso presidente del consiglio, tra rappresentanti del governo e rappresentanti delle singole regioni, di cui non si sa nulla, e di cui non c’è nessuna traccia scritta, documenti, bozze, se non, ultimo atto ufficiale noto, un testo del febbraio 2019, peraltro ampiamente superato, ad ascoltare notizie ufficiose e/o pubblicazioni giornalistiche di documenti MAI resi ufficialmente pubblici) tra governo e Regioni, ed una sua approvazione o bocciatura, senza possibilità di discussione e/o emendamenti, da parte del Parlamento. La particolarità, anche tecnica, dell’accordo e dei suoi contenuti, secondo molti dovrebbe fare riferimento alla ratio di cui all’art. 123 Cost., nella formulazione originale, sulla cui base furono elaborati gli Statuti regionali ordinari con un ruolo sostanziale del Parlamento, non previsto né in Costituzione né a livello legislativo. Attraverso trattative informali tra Regioni e commissione affari costituzionali del senato, il Parlamento riuscì, infatti, ad incidere in maniera sostanziale sul loro contenuto.

Quello che da più parti si chiede, ormai, anche autorevolmente ed istituzionalmente (presidente della Camera), è che il ruolo del Parlamento sia centrale. In questa direzione pare si muova la recentissima (fine ottobre 2019) legge quadro presentata dal Ministro per gli affari Regionali e le Autonomie Francesco Boccia Purtroppo, però, dalla lettura della bozza non si riesce a capire bene se dopo il parere di alcune Commissioni parlamentari, il testo, tornato all’esame di governo-“ciascunaregionerichiedente”, DOVRA’ ESSERE MODIFICATO SECONDO I PARERI PARLAMENTARI OPPURE NO; è certo, invece, perché scritto nero su bianco, che per quanto riguarda la definizione di LEP, fabbisogni standard, eccetera, da stabilire con decreto, dopo il parere delle Commissioni, il governo può, motivando la sua decisione, disattendere tale parere.

Pare comunque sgombrato il campo da una “utilizzazione” dell’art. 8 Cost., che riguarda accordi tra lo Stato italiano e Organismi Rappresentativi e Responsabili di culti a-cattolici, accordi che per prassi sono recepiti dal Parlamento SENZA MODIFICA ALCUNA. L’art. 8, secondo Massimo Villone, definisce la diversità e la conseguente separatezza che una minoranza protetta -il culto acattolico e la sua fede-  vuole garantirsi nei confronti della maggioranza che si traduce nella legge. Da qui “l’inemendabilità”. Ma il caso del regionalismo differenziato è del tutto diverso: nell’articolo 116 è garantita l’eguaglianza prima della diversità. I cittadini, adesso, di Veneto, Lombardia, Emilia- Romagna, in futuro di qualsiasi altra regione, sono sempre, tutti,  cittadini italiani, titolari dei medesimi diritti e doveri di tutti gli altri. Chiede Villone: “Quale diversità e separatezza potrebbe o dovrebbe difendere una inemendabilità dell’intesa?”. Per fortuna questo primo tentativo, all’epoca del governo Conte I, sembra sventato.

In particolare, inoltre,  la bozza di legge indica che si costituirà una struttura “commissariale”, con il potere di decidere i LEP; purtroppo queste indicazioni dovrebbero essere rese ENTRO UN ANNO dalla definizione degli accordi tra governo-parlamento-regioni; cioè un accordo viene fatto PRIMA di sapere su quali basi si dovrà fondare. Perché non aspettare la definizione di LEP e fabbisogni standard, e POI sottoscrivere le intese? Insomma, la differenziazione di materie e funzioni e delle relative risorse avverrà al buio, come ha autorevolmente scritto il costituzionalista Alberto Lucarelli.

Infine, stiamo parlando di una legge quadro: la definizione puntuale e particolareggiata di ogni fase, di ogni azione, sarà fatta per decreto o “legge governativa”: come sappiamo, il diavolo si nasconde nei dettagli, sui quali, pare, il Parlamento non potrà quasi nulla!

Insomma, se la Cassa per il Mezzogiorno degli anni ‘50 e ‘60 cercava di unire il paese, rendendo meno distanti, economicamente e socialmente i suoi territori, queste recentissime richieste, egoiste, delle tre regioni del Nord, legano i diritti ed i servizi ai cittadini ad una presunta ricchezza “territoriale” che non esiste in nessuna formulazione o legge dello stato. Il gettito fiscale di un territorio (ancora, formalmente inesistente per le nostre leggi ed ordinamenti)  diventerebbe  un indicatore dei suoi fabbisogni. Una vera e propria secessione dei ricchi.

(3 – fine)