La mascherina è ormai un tratto costitutivo dell’evo covidico e delle società ‘prigioniere’ della pandemia globale che ha atterrito il mondo. Nelle ultime settimane, le prime di relativa libertà dopo il lockdown, le nostre città e le nostre strade sono tornate a pulsare, ma la fotografia del ritorno a una vita più o meno ordinaria è inequivocabile: indossiamo tutti (o quasi) una mascherina. La creatività e la propensione umana alla differenziazione non sono mancate neanche in questa circostanza, e quindi ecco spuntare mascherine di ogni colore e foggia: bianche, blu, verdi, con filtro, senza filtro, improvvisate, tricolori, sgargianti, lavabili, usa e getta, artigianali e persino, ultima novità cinese, auto-disinfettanti. Questo travestimento collettivo, impensabile in tempi normali se non nell’ambito di festività e/o occasioni precise, indispensabile per tutelare la salute di tutti, forse irrinunciabile fino all’agognato vaccino, rappresenta una gigantesca forma di protezione e difesa dall’invisibile minaccia. D’altro canto la maschera ha sempre conservato nel suo bagaglio semantico questo aspetto, insieme a un altro di segno ben diverso.
La maschera infatti protegge e difende ma inevitabilmente allontana, tiene a distanza, crea barriere. La maschera occulta, nasconde, genera mistero ma anche apprensione. Non a caso mascherare il viso è tradizionalmente un’abitudine di criminali, ladri, rapinatori, killer, per evitare di essere riconosciuti e finire nelle mani della giustizia. L’immagine più iconica è il passamontagna calato sul volto del furfante all’ingresso in banca, un leitmotiv intramontabile. A partire dagli anni trenta del novecento poi la maschera è diventata una caratteristica degli dei e dei miti contemporanei, i supereroi dei fumetti, che in questo scorcio di nuovo secolo dominano l’immaginario collettivo. Anzi, la maschera segna una demarcazione importante, perché tra gli eroi c’è chi non ne avverte il bisogno e chi invece la sente come inevitabile e la fa propria: al primo gruppo appartengono ad esempio i Fantastici Quattro, quattro esseri straordinari che vivono i propri poteri alla luce del sole e che risiedono come una normale famiglia in un edificio noto a tutti; al secondo invece appartiene, e ne è anzi l’esempio più tradizionale, l’Uomo Ragno, che indossa una maschera per proteggere la propria identità, non per tutelare se stesso, o comunque non solo, bensì per tutelare i propri affetti ed evitare che vengano presi di mira. Non mancano le eccezioni: Batman indossa la maschera per spaventare i suoi avversari, così come prima di lui il personaggio creato da Lee Falk e in Italia chiamato, non a caso, l’Uomo Mascherato (il nome originale è Phantom); la maschera di Superman è invece il volto umano e comune di Clark Kent, in un ribaltamento di ruoli capace ancora oggi di generare grande fascino.
Mistero affascinante, dunque. E anche segreti profondi, inconfessabili: basti pensare all’enigma che circonda la leggendaria maschera di ferro cui si interessarono Voltaire e Dumas padre, il prigioniero della monarchia francese al quale sono stati dedicati numerosi film. O, per restare nel mondo del cinema, l’oscuro Darth Vader, che nasconde il proprio volto ustionato con la famosissima maschera nera che filtra quel respiro profondo, grave, terribile, carico della sofferenza più grande della galassia. Una respirazione complessa che genera un’angoscia difficile da descrivere.
La respirazione attraverso le mascherine antivirus di certo non è così complessa, ma è comunque più difficile del normale e produce inquietudine. La mascherina è ansiosa, sia per chi la porta sia per chi la vede. È un peso, avvertito come inevitabile e cionondimeno fastidioso. È uno strumento che ricorda in ogni momento la situazione vigente, un monito a temere la minaccia. Chissà cosa penserebbe Pirandello di questa moltitudine di mascherine e di queste forme che siamo stati costretti ad assumere per reagire alla ribellione della vita e del flusso dell’esistenza.