Siamo una città che si parla, si scrive, si canta, si piange, si recita, si filma e si muore addosso. Paese del sole e del mare, gente semplice e felice, suolo beato dove sorridere volle il creato, mille colori: Dio ce l’ha data e guai a chi ce la tocca.

Solo noi napoletani possiamo dire che è una carta sporca, ma chiunque altro si deve inginocchiare e baciarle le mani. Solo noi possiamo criticare il traffico che blocca ogni metro della strada e va a finire che blocca pure la vita, ma se lo dice un forestiero sicuramente è razzista.

Arriva ogni mattina una cartolina, col Vomero, Mergellina, Posillipo e Marechiaro e il ricordo commovente di una mamma, malgrado oggi le cartoline non si usino più come nei viaggi di una volta, quando si spedivano a parenti ed amici con il francobollo e la scritta “Saluti da…”. Oggi basta uno scampolo di arcobaleno sul golfo dopo un acquazzone figlio del climate change o uno spruzzo di neve sul cratere del Vesuvio e tutti a postare la foto su Facebook e Instagram col filtro più adatto e la frase più mielosa. Fa tanto regista di successo candidato a Leone, Palma e Orso d’oro di noialtri.

Siamo a giorni alterni la città di Pulcinella e Benedetto Croce, il paese di Masaniello e Gian Battista Vico, la patria di Riccardo Muti e Gigi D’Alessio, la terra di tre presidenti della Repubblica e del Sindaco del Rione Sanità.

Esiste Napoli ed esistono i racconti di Napoli, alcuni dei quali sono rimasti soltanto nell’immaginario collettivo e non si rispecchiano più nella realtà come il Pazzariello magnificamente portato in scena da Totò. Ha poco più di quarant’anni la Napoli di Bellavista e, sebbene rimanga ancora l’ingorgo a croce uncinata, nelle case partenopee non si preparano più le bottiglie di pomodoro, né al Parco della Rimembranza le automobili si tappezzano di giornali ormai letti sul tablet. In compenso abbiamo le stazioni della metro più belle del mondo ma la CTP è senza un soldo in cassa e gli autobus non partono. In compenso abbiamo pure il lungomare pedonalizzato periodicamente adibito a sagra di strapaese, nonché la transavanguardia neo melodica e rap più fiorente d’Europa. Commerciamo a buon prezzo pizze fritte, panzarotti e palle di riso, ma anche il pezzotto digitale per vedere il Napoli in TV e sbandieriamo per i vicoli targhe rumene per pagare di meno le polizze assicurative salite alle stelle.

Periodicamente meniamo vanto di primati nazionali e mondiali. La prima lavatrice in Italia? Costruita a Napoli nel 1851 su modello brevettato da Luigi Armingaud, ma l’anno scorso ha chiuso lo stabilimento Whirpool licenziando 320 lavoratori a Via Argine. Il primo bidet al mondo? Quello della regina Maria Carolina di Napoli (ancorché collocato nella Reggia di Caserta come ci ricorda Alberto Angela), ma poco male se il nucleo centrale della rete fognaria è quello borbonico di fine ‘700, che provoca per vetustà infiltrazioni alle gallerie.

Nell’ultimo quinquennio i nuovi nati sono calati in media del 6%. Nell’ultima settimana i morti muoiono la seconda volta per il crollo delle Congreghe di Poggioreale. Ogni anno vanno via circa 500 giovani fra i 18 e i 24 anni, quasi 5000 in un decennio e la città invecchia, vive di pensione e di reddito di cittadinanza a pioggia, che per la sola provincia di Napoli è costato 102,2 miliardi a fronte dei 109,7 di tutto il Nord Italia.

Intendiamoci è un bene che almeno produciamo molto in spettacolo, cultura, libri e film, ma non è altrettanto bello che nel nostro PIL reale vi sia anche tanta economia illegale, dalla droga al riciclaggio.

Eppure non possiamo fermarci a vivere nell’altalena tra l’autoconsolazione dell’orgoglio patriottico e la disperata denuncia di malesseri atavici.

Le recenti volontà popolari emerse dalle ultime consultazioni democratiche lanciano una voglia di rinnovamento ed esprimono fiducia nell’expertise. Ci sono le premesse perché la Città riviva di grandi progetti che vedano finalmente una realizzazione, anche se a piccoli passi, ma almeno fuori dal cliché di un eterno dolce far niente, sotto il sole cocente, sotto la luna lucente.

 

Articolo pubblicato su IL MATTINO del 21.01.22