Renzi lancia il guanto di sfida, Salvini lo raccoglie. Così, nel salotto di Bruno Vespa, si è consumato il confronto televisivo tra i due Matteo. L’ospite ha dettato i ritmi degli scambi tra i due contendenti, vigorosi ma mai sopra le righe. Mai più del concesso. Gli argomenti trattati erano ampiamente prevedibili, e almeno da questo punto di vista nessuno spettatore è rimasto deluso. Si va dai cavalli di battaglia del leader della Lega – flat tax, quota cento, immigrazione – alle interrogazioni sui cinque anni della vecchia legislatura targata Pd; non sono neanche mancate piccole incursioni sul personale, giusto per non far addormentare il pubblico a casa che a questo giro ha dovuto fare anche a meno della claque dallo studio.
Prima ancora che la puntata andasse in onda, i due partecipanti avevano già rivendicato la vittoria a mezzo social, sintomo emblematico di un momento storico in cui lo strapotere della comunicazione ha surclassato i fatti in materia di percezione del reale. Dopotutto era un confronto, ovvero un’esposizione quasi simultanea di due diverse visioni del mondo, non una gara; o meglio: la vittoria eventuale risiederebbe nell’adozione, da parte dell’elettorato, di una visione piuttosto che dell’altra. È chiaro che i tweet antecedenti addirittura alla messa in onda rappresentino una corsa alla comunicazione efficace, ormai mera rappresentazione dello stato di cose. C’è da chiedersi, senza sfiorare i contenuti del confronto, chi dei due abbia tratto maggior vantaggio dal duello.
In primo luogo, il fatto stesso che si sia svolto rappresenta una mossa win-win di Renzi. Lanciata la sfida, Salvini non poteva sottrarsi rischiando di tradire un certo timore che mal si addice alla figura dell’uomo forte incarnata dal leader leghista. Quando il segretario di un partito che tutti i sondaggi danno oltre il 30% da un anno, lanciatissimo verso la prossima Presidenza del Consiglio, accetta un confronto simile, la percezione complessiva è di uno scontro bipolare; non a caso l’ultimo faccia a faccia ospitato da Vespa vedeva contrapporsi Berlusconi e Prodi, all’epoca impegnati a rappresentare i due grandi blocchi dell’arco costituzionale. Dunque, sebbene nei sondaggi si siano confrontati un partito antico, dai numeri impressionanti, e un partito neonato dato al 4% – quindi sostanzialmente la lotta tra un nano ed un gigante – Renzi ha potuto assumere il ruolo dell’antitesi di Salvini. D’altro canto per Salvini accettare il confronto rappresentava un rischio calcolato. Dopotutto, a vedere il programma è sembrato chiaro: l’uno andava di sciabola, l’altro di fioretto. Non era una partita tra Renzi e Salvini, era una partita giocata da ognuno dei due su sé stesso, in cui il semplice differenziale con l’altro lavorava a proprio vantaggio. La dialettica televisiva, con i suoi accavallamenti e i suoi dati presentati ad hoc, difficilmente può prevedere un k.o. tecnico, specialmente quando si confrontano due personalità così forti. È la politica del negativo, in cui definirsi l’anti-qualcosa è sufficiente. Da questo punto di vista, forse, il maggior guadagno è stato raggiunto da Renzi, non foss’altro perché Salvini ha semplicemente rafforzato la sua posizione, mentre l’ex Premier ha ricevuto una legittimazione vitale per il suo nuovo percorso politico.