Joker, di Todd Philipps, con Joaquin Phoenix, Frances Conroy, Zazie Beetz, Brett Cullen, Glenn Flesher, Bill Camp, Robert De Niro.
Artur Fleck è un disadattato che vive con la madre malata, lavora come clown e soffre di un particolare disturbo mentale che lo obbliga a ridere all’improvviso nelle situazioni più disparate. Costretto a subire angherie di ogni tipo ed esposto al peggioramento costante delle proprie condizioni mentali, Arthur scivola lentamente nell’abisso della follia.
Non esiste, nel mondo dei fumetti e oltre, un villain, un antagonista, un cattivo più tremendo del Joker: del tutto fuori di testa, incarnazione del puro caos, privo di reali obiettivi e interessato solo a portare scompiglio in un mondo apparentemente equilibrato. La ragione principale che ne ha caratterizzato il successo è però con ogni probabilità il mistero di fondo: chi è il Joker, da dove è venuto fuori? Il personaggio appare per la prima volta nel 1940, ma è solo nel 1988 che ne viene narrata una possibile origine, con “The Killing Joke”, cui la pellicola di Phillips deve certamente qualcosa, miniserie scritta magistralmente dal grandissimo Alan Moore. L’aspetto più significativo di questo racconto delle origini è proprio l’incertezza, la possibilità: il Joker, il cui vero nome resta ignoto, afferma candidamente di non essere sicuro dei propri ricordi, alla maniera di un personaggio sveviano, e quindi tutta la storia potrebbe essere il parto della sua mente malata.
La ricostruzione del film è più precisa, accurata, sensibile, e ciononostante comunque dotata della vaghezza che da sempre caratterizza il personaggio: il Joker, il cui nome stavolta è noto, è il prodotto marcio di una società marcia, un essere umano che non ha mai conosciuto un singolo istante di felicità, sempre deriso e picchiato, privo di pensieri positivi, privo di scopo, privo di una sola, singola possibilità di un futuro diverso. Arthur cerca un riscatto nell’unico spazio in cui intravede una svolta, morale più che materiale, ossia la ricerca delle proprie radici familiari, ma trova solo verità ancor più distruttive, che tuttavia lasciano aperta un’enigmatica porta che per gli spettatori è una suggestione potentissima: figlio bastardo di qualcuno o figlio legittimo di nessuno?
Joaquin Phoenix ha perso più di venti chili per la sua interpretazione, ma incredibilmente, emaciato e magro come uno spillo, occupa tutto lo spazio scenico per due ore, rendendo di contorno tutti i personaggi che (non) gli ruotano intorno, a partire da un gigante come De Niro. La sua risata è straordinaria, al tempo stesso magnetica e repulsiva, inebriante e terrorizzante, il suo sguardo è folle dal primo all’ultimo minuto di visione. Arthur/Phoenix cammina, corre e balla splendidamente in una Gotham terribile, ansiosa, squallida, degradata, divisa, come sempre accade nei fumetti, tra pochi ricchi menefreghisti e la maggioranza della popolazione, povera, stanca, incattivita, abbandonata, facile preda delle pulsioni e degli esempi più violenti. L’incontro tra attore e personaggio era forse nel destino, perché il nome Joaquin sembra una possibile e fortunata crasi tra Joker e Arlequin, la leggendaria figura medievale di cavaliere demoniaco dal quale, di tradizione in tradizione, è nata poi la maschera Arlecchino, il colorato saltimbanco bergamasco. Un giullare demoniaco: il caso a volte possiede un’ironia divina.
La Warner e la DC hanno fallito nel tentativo di creare un grande universo narrativo che potesse rivaleggiare con il Marvel Cinematic Universe entrato nel cuore di milioni di appassionati, e allora hanno preso la scelta più difficile e in definitiva più giusta: tornare sui propri passi e dedicarsi a produzioni diverse, indipendenti, volutamente non collegate per evitare lacci e legami che avrebbero inibito la vena nativa di sceneggiatori e registi, e proprio per questa ragione dotate di una libertà di pensiero e azione che permette di sfruttare fino in fondo le potenzialità di personaggi straordinari. Il Joker di Philipps e Phoenix nasce da questa premessa e diventa forse la miglior realizzazione filmica che sia mai stata fatta del villain, nonostante l’assenza dell’inseparabile nemesi. Ma la grande, ultima chicca di questo film è proprio questa: non c’è il pipistrello, ma l’ombra delle sue ali avvolge il Joker dall’inizio alla fine.