Nella corsa al Quirinale, avviata neanche troppo in sordina nei mesi scorsi, e ora intensificatasi rumorosamente per l’imminenza delle scadenze istituzionali,
sta facendo discutere in questi giorni il recente appello lanciato da un gruppo di scrittrici, artiste, intellettuali per “Una donna al Quirinale”.
L’appello firmato in primis da Dacia Maraini merita certo tutta l’attenzione e lo spazio per sollevare un’ampia discussione e sollecita anche, a mio avviso, qualche domanda e qualche riflessione sulla politica e sulle donne nel nostro Paese.
Innanzitutto se abbiamo ancora la necessità di fare appelli per eleggere una donna come   Presidente della Repubblica dobbiamo chiederci perché siamo ancora così scandalosamente indietro nella classifica del “gender gap”.
È un nostro antico problema, lo sappiamo bene, e la pandemia, tra i molti esiti nefasti, ha, come previsto e segnalato anche su queste pagine nel 2020, vistosamente peggiorato la situazione. Il covid ha fortemente inciso sulla parità di genere in Italia in tutti i campi, dall’economia, con il maggiore calo dell’occupazione femminile rispetto a quello maschile, certificato dagli ultimi dati Istat, alla politica, dove anche le ultime elezioni amministrative hanno registrato meno candidate ed elette donne.
Lo conferma pure la classifica del Global Gender Gap report del World Economic Forum (cfr. il sole 24 ore -30/3/21), redatta su un panel di 156 paesi nel mondo, dove pur essendo risaliti al 63esimo posto restiamo in assoluto tra i peggiori in Europa. Nelle prime posizioni si confermano in tutti e quattro gli ambiti considerati -politica, economia, educazione e salute- proprio i paesi del Nord Europa ovvero Islanda, Finlandia e Norvegia, che sono, guarda caso, guidati da premier donne.
Ben venga quindi la sollecitazione dell’appello a rinnovare l’attenzione e la   discussione sul tema del nostro enorme gender gap ma mi sembra che colgano decisamente nel segno alcune intelligenti e argute osservazioni di Natalia Aspesi su Repubblica (2/1/22) che è opportuno riprendere.
Credo che nel suo provocatorio “no grazie” emerga una grande verità e consapevolezza.
A me pare che sia davvero paradossale, come già detto, che abbiamo bisogno di fare appelli per ribadire una realtà che oramai nel mondo intero è la normalità, pur riconoscendo che sia sacrosanto insistere nella richiesta. Ma sappiamo che quando da noi in Italia ci si ricorda delle donne lo si fa solo per ammettere in linea teorica la giusta causa, senza vera convinzione, diciamo per salvare la faccia di fronte al mondo intero, anzi così facendo si “bruciano” i nomi per dirla in gergo giornalistico.
E la Aspesi sostiene maliziosamente che “se ci si rivolge alle donne perché sbroglino loro la matassa, o meglio si prendano la responsabilità quasi suicida di tenere insieme un Paese fuori dì se’, ancora prigioniero della pandemia e senza una visione del futuro, è perché nessuno vuole accollarsi la responsabilità di un eventuale fallimento”.
Insomma la politica latita, e non da poco tempo, e ne abbiamo ulteriore indiretta conferma, e le donne rischiano di essere una comoda foglia di fico. Ammesso che qualcuno voglia davvero sostenerne una come candidata al Quirinale.
E qui veniamo al punto, che sottolinea molto giustamente, a mio avviso, anche Luciana Castellina su Huffingtonpost (3/1/22). La Castellina vede una banalizzazione nel porre il tema in termini generici. Pensa che “dire genericamente -una donna al Quirinale- possa rischiare di banalizzare la questione di genere che è molto più complessa”. Pur riconoscendo il valore simbolico dell’appello sostiene che” L’importante è individuare il profilo giusto e poi avanzare una proposta.”

Ecco il punto nevralgico: individuare il profilo giusto, e vorrei aggiungere lavorare a costruire con i tempi giusti la proposta.

Servirebbe alle donne e al Paese perché una cosa è certa: a noi donne nessuno ha mai regalato niente, anzi, solo grazie alle grandi lotte dei movimenti femministi dei decenni scorsi abbiamo raggiunto gli attuali traguardi, con le profonde trasformazioni sociali, culturali ed economiche che hanno contribuito sostanzialmente alla modernizzazione dell’intera società italiana.

Dunque c’è molto, molto da dire al riguardo e ancor di più da fare e progettare, in considerazione anche del momento veramente storico che il covid ci prospetta e delle conseguenze e delle opportunità che tutti intravvediamo nel PNRR, vero totem oserei dire del nostro futuro.

Stiamo già vivendo e dovremo affrontare sempre più un futuro di cambiamenti epocali, quello climatico in particolare, che ci impone una profonda trasformazione nei comportamenti sociali, economici, culturali e politici.

Mi limito in queste mie brevi battute a ricordare in primis a noi donne che proprio la complessità della questione di genere, e tutto ciò che ne consegue, anche in termini di crescita culturale e generale della nostra società, ci deve spingere di più ad uscire allo scoperto, con forza e molto più concretamente, abbandonando vecchie logiche e comportamenti forse stereotipati e ormai inefficaci. Lo dobbiamo fare per noi stesse e per la politica italiana, per ridarle senso e progettualità.
Non bastano più gli appelli di genere, anzi in questo momento, non vorrei si corresse il rischio di astute strumentalizzazioni da parte della destra, che si ostina a prospettare candidature assolutamente improponibili, pericolosissime per la nostra credibilità nel consesso europeo e internazionale.

Sarà un mio retropensiero “cattivo” ma non vorrei ritrovarmi, infine, con una donna di destra al Colle, grazie anche agli appelli delle donne.
Sarebbe un vero smacco per i movimenti delle donne!