Indifesi, insicuri, fragili, come sospesi nel tempo, ci siamo riscoperti tutti noi nell’emergenza sanitaria del Covid 19 che ha cambiato le nostre vite dall’inizio di questo memorabile 2020.
La paura del contagio ci ha costretto nelle case con mille domande e l’ansia di trovare risposte pur insufficienti. Con grande incertezza stiamo lentamente riavviando la vita economica, perché dopo quasi due mesi di totale lockdown l’emergenza non è più solo sanitaria, è profonda crisi economica e sociale, la più feroce dal 2° dopoguerra. Investe l’intero pianeta, con effetti diversificati in paesi e continenti. L’Italia è fra i paesi più colpiti in Europa, sia per la dolorosa perdita di vite umane che per le dure conseguenze socio-economiche, con le quali tocca ora fare drammaticamente i conti.

Non c’è dubbio, abbiamo reagito alla pandemia con una straordinaria, forse inaspettata, tenuta sociale, apprezzata pure a livello internazionale, ma il virus ha scoperchiato con estrema violenza tutte le nostre defaillances e le nostre storiche diseguaglianze. Si perché l’emergenza, come tutte le crisi, non colpisce alla stessa maniera e con la stessa gravità. Ancora una volta tra i soggetti più deboli e fragili le donne sono le più colpite, nelle conseguenze immediate e, cosa più preoccupante, in prospettiva.
Primo fattore di rischio per le donne: la violenza. A lanciare l’allarme è stato l’ONU. A causa del confinamento sociale in 90 paesi, che ha bloccato in casa oltre quattro miliardi di persone, secondo gli ultimi dati ONU la violenza domestica è aumentata in media del 30%. In un videomessaggio il Segretario generale dell’ONU António Guterres ha esortato tutti i governi ad affrontare”il terribile aumento di casi di violenza domestica” per garantire la protezione delle donne che subiscono violenze nei piani di risposta nazionali al Covid19.

Per avere un’idea del fenomeno in Italia, secondo dati del primo semestre 2019 dell’Istat, hanno subito violenze fisiche o sessuali nel corso della propria vita il 13,6% (2milioni800mila) delle donne nella fascia 16-70 anni dai partner o ex partner, e circa 855mila donne (il 5,2%) dai partner attuali. Nei primi giorni di lockdown sono diminuite fortemente le chiamate al Telefono Rosa 1522 e le richieste ai centri antiviolenza ma solo perché si sono ristretti gli esigui margini di autonomia delle donne, causa la convivenza forzata. Ma da metà marzo in poi si è registrato il 74,5% in più, rispetto all’ultima media mensile del 2018, di denunce ai centri Di.Re (Donne in Rete contro la violenza–  80 centri in tutto il Paese) con un forte aumento di donne alla prima richiesta di aiuto. Allarmanti i dati sui femminicidi che non devono essere derubricati a drammi dell’isolamento. Nei primi 2 mesi dell’emergenza se ne contano 11. Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di Telefono Rosa, in una recente intervista parla di una situazione altamente esplosiva, dove anche la crisi economica incide come motivo di litigio e di scoppio della violenza tra le mura domestiche.
Secondo elemento a rischio per le donne: il lavoro. Le Nazioni Unite stimano che a causa del Covid19 sarà duramente colpito il lavoro delle donne, le più occupate in lavori precari o a basso reddito.   Mlambo-Ngcuka, direttrice esecutiva di UN Women, Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, sostiene che “la maggioranza delle donne è impiegata nell’economia informale, dove il concetto di assistenza sanitaria è assente o inadeguato, e dove gli ingressi a livello economico non sono sicuri”. Al rischio sanitario si aggiunge la perdita del lavoro. E il lavoro significa indipendenza economica e sociale, sta “al cuore delle politiche di equità di genere”.

L’Italia del lavoro pre Covid offre un quadro di disuguaglianze di genere sconfortante, a partire dal  forte gender gap. Secondo i dati del Global Gender Gap Report 2020 siamo al 76° posto su 153 paesi, ovvero lavora meno di una donna su due (il 48,9%).  E si tratta, secondo l’Istat, di lavoro femminile con forte componente di lavoro a tempo determinato (il 17,3% nei primi 3 trimestri del 2019) e di part time (un terzo contro l’8,7% degli uomini). Inoltre assistiamo al fenomeno del part time involontario, legato solo a esigenze delle imprese. Inutile forse sottolineare che il dato più drammatico riguarda il Sud, dove solo una donna su tre lavora. E non parliamo poi del pay gap, ovvero il divario salariale a parità di condizioni e mansioni tra uomini e donne, per cui le donne in media guadagnano un quinto in meno degli uomini (nel privato ancor di meno).

Le prospettive del lavoro femminile post Covid sono molto più drammatiche, con il rischio che il drastico calo occupazionale travolga il lavoro femminile, a partire dai menage familiari. Plausibile,  ad esempio, che nelle coppie di lavoratori venga sacrificata la donna che guadagna di meno, ha minori garanzie e si fa carico del lavoro di cura di figli e anziani. Finora nelle precedenti crisi è accaduto. Oggi con il cambiamento epocale provocato dal Covid una prospettiva simile farebbe tornare indietro di decenni le donne, in un paradosso che continuerebbe a vederle competenti e più istruite in media degli uomini, ma ancora più emarginate dal mercato del lavoro. Uno scenario infausto che farebbe regredire l’intera società.
Tutto ciò in netto contrasto con il ruolo determinante delle donne nella attuale emergenza Covid, La maggioranza del personale medico e sanitario, solo per citare loro, in prima fila contro l’emergenza è costituito da donne. Mancano ancora le donne, invece, nei luoghi delle decisioni. Di questo le donne sono sempre più consapevoli e non vogliono più stare a guardare, per rispondere alla grande domanda: come deve essere il post Covid?

L’Unione Italiana del Soroptmist International, associazione mondiale delle donne di elevata qualificazione professionale impegnate a favorire l’avanzamento della condizione femminile a livello sociale e lavorativo, proprio perché prevede che il Covid produrrà un forte peggioramento del gender gap, lancia un appello a Governo e Parlamento per rafforzare le misure a sostegno dell’occupazione femminile.
E gli appelli, i flash mob e le iniziative delle donne in queste ultime settimane, in vista anche dell’avvio della fase 2, in realtà, si sono moltiplicati sui social, sulla stampa, su tutti i media. Tra i primi quello di Senonoraquando libere, lanciato da Cristina Comencini, storica protagonista dei movimenti delle donne, attraverso un video, cui hanno aderito oltre 17mila donne e uomini, rivolto ai governanti delle istituzioni europee per invitarli a superare gli egoismi nazionalistici e cooperare per vincere la crisi nell’interesse di tutti ponendo” la vita e i talenti delle donne al cuore di una nuova crescita civile”. Le donne di SNOQlibere , con senso di responsabilità nei confronti di ciò che viene deciso nel loro paese, denunciano la scarsa o nulla presenza femminile nelle varie task force che dovranno collaborare con il governo alle scelte decisive per il futuro. Questo significa impedire “la principale innovazione” per l’Italia:“diventare una nazione di donne e uomini, pari nella loro differenza.”

Con l’hastag #dateci voce oltre 50mila donne della società civile e della politica hanno inviato una lettera al Presidente del Consiglio per reclamare la parità nei luoghi decisionali.
Last but not least l’appello delle scienziate italiane: ”Pretendiamo un equilibrio di genere”, firmato da donne dell’accademia e ricercatrici di livello internazionale che sottolineano che  “le donne sono la maggioranza tra chi è in prima linea contro il Covid”. Insomma le competenze delle donne ci sono e devono contare.

La posta in gioco nel post Covid è troppo importante per lasciare fuori le donne, che rivendicano con nuova consapevolezza la partecipazione paritaria alla costruzione del futuro.

 

Foto by Agenzia DIRE – www.dire.it