Massimo Recalcati e la cultura di sinistra

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Massimo Recalcati è senza dubbio l’intellettuale italiano dell’ultimo decennio, una figura novecentesca che probabilmente incarna lo spauracchio di “professorone di sinistra” spesso evocato a targhe alterne dai populisti. Nato filosofo, divenuto psicoanalista, professore universitario, promotore di Jonas nel mondo (un ente che offre psicoanalisi a prezzi sostenibili), oggi è noto principalmente per gli articoli su La Repubblica e per i programmi “Lessico Famigliare” e “Lessico Amoroso”, trasmessi sulle reti Rai. 

Recalcati è uno psicoanalista lacaniano e tra i suoi colleghi rappresenta una mosca bianca: è forse il solo che si espone in maniera decisa sulle questioni di politica. Recalcati infatti non si limita a commentare fatti di attualità da opinionista imparziale, ma è schierato, è di sinistra, del Pd, renziano, “leopoldino”. Risale al 2016 la sua prima apparizione alla convention fiorentina e in quell’occasione promosse il “Sì” al referendum sulla riforma costituzionale del governo Renzi. Nel suo discorso – applauditissimo – fece addirittura riferimento ai padri cattivi della sinistra italiana che si accanivano contro il giovane Presidente del Consiglio, mal sopportato perché portatore di cambiamento 

Gli altri psicanalisti disapprovano Recalcati per due motivi: uno strettamente teorico e l’altro etico in senso ampio. Riguardo quest’ultimo aspetto, la critica è molto semplice: non bisogna prendere posizione pubblica esplicita e soprattutto non alla maniera di Recalcati. La goccia che fece traboccare il vaso, e fece intervenire il delfino e genero di Lacan – nonché maestro di Recalcati stesso – Jaques Alain Miller, fu la decisione dello psicanalista milanese di promuovere e dirigere la scuola di formazione del Pd e di intitolarla a Pier Paolo Pasolini. Il punto che preme sottolineare non è il valore di Recalcati come analista e studioso, o se la psicoanalisi possa essere ancora oggi d’attualità, e di sicuro non la querelle interna al mondo della cultura riguardo le sue esternazioni politiche, bensì se sia questo il tipo di cultura di cui abbiamo bisogno. Per riavvicinare i cittadini alla complessità delle questioni di ordine etico e sociale, è utile un discorso che faccia ricorso a un sapere “altro” rispetto a quello di cui sono in possesso? La sensazione è che, talvolta, alcune opinioni possano avere quantomeno un odore di autoreferenzialità. Un articolo del 22 agosto 2019, pubblicato su La Repubblica, ne è un chiaro esempio. Nell’offrire la sua analisi del momento politico, Recalcati scrive: “Psicologicamente Di Maio si è rivelato totalmente imprigionato nel fantasma puberale”. La domanda che sorge spontanea è: Perché quest’analisi e questa sentenza? L’articolo gioca su una metafora e mette in parallelo strutturalmente l’adolescenza con l’evoluzione del M5S. Operazione del tutto lecita, ma che dà l’impressione di cadere dall’alto. 

Esiste probabilmente un problema culturale che riguarda il mondo della sinistra. L’impressione è che per anni alcuni attori importanti della politica abbiano accreditato alcune scelte staccando la cambiale della competenza, che spesso veniva anche riutilizzata per pagare il debito dello scarso successo. Dopo un po’ i cittadini hanno iniziato a guardare con diffidenza tutto ciò che sembra oscuro e che non risponde alle semplici regole della causa e dell’effetto. E in questo spazio i populismi sono subentrati e hanno fatto presa.

Recalcati, che dai microfoni della Leopolda fa campagna elettorale per il “Sì” al referendum costituzionale, non rischia di essere controproducente quando colloca il M5S in una crisi adolescenziale facendo riferimento a un sapere che chiama in causa la fiducia del lettore per essere condiviso? È come dire: “Credimi, e credimi quando ti dico che mi devi credere”.