La Didattica a Distanza e la Didattica Digitale Integrata, ossia una modalità didattica che alterni attività in presenza e attività a distanza, sono oggi una realtà abbastanza consolidata della scuola italiana: la pandemia globale ha infatti obbligato il sistema scolastico a sperimentare strategie alternative per consentire agli studenti di seguire le lezioni e partecipare ai processi formativi in condizioni di sicurezza, allo scopo di evitare il contagio e ridurre le possibilità di diffusione del virus.
A differenza della scorsa primavera, quando la chiusura totale su tutto il territorio nazionale imponeva la modalità a distanza a tutte le scuole, negli ultimi mesi sono state adottate decisioni diverse a seconda dei gradi scolastici e delle zone del paese, generando peraltro una confusione che certo non ha giovato né al sistema né agli attori (docenti, studenti, amministrazioni, famiglie) che lo compongono.
È certamente possibile tracciare un bilancio di quanto avvenuto finora, provando a evidenziare le contraddizioni, i pregi, i difetti, le prospettive della DaD. Un dato va senza dubbio sottolineato: l’epoca attuale è paradossalmente la migliore possibile in cui potesse capitare una catastrofe pari a quella legata al coronavirus, e non vale solo per la scuola, perché le tecnologie digitali e l’universo di internet hanno impedito che il distanziamento fisico diventasse anche distanziamento sociale e allo stesso modo hanno impedito brusche interruzioni dei percorsi di studi e degli anni scolastici, pur tra le difficoltà legate alle nuove modalità di fruizione della didattica. Solo dieci anni fa, per esser chiari, la scuola si sarebbe semplicemente fermata.
Immersioni digitali
La Didattica a Distanza ha effettivamente catapultato in un nuovo mondo tutte le generazioni: sia le ultime, ovvero i nativi digitali e i postmillenials, già abituate a passare svariate ore davanti agli schermi, sia quelle precedenti. In particolar modo l’intera classe docente, mediamente di età avanzata, ha dovuto rapportarsi con strumenti e software prima mai visti e utilizzati, ha dovuto imparare a conoscerli e ad adoperarli, ha dovuto farli propri e così facendo ha rapidamente migliorato le proprie competenze. Per una categoria abituata al massimo al registro elettronico, con l’ovvia eccezione degli insegnanti informatici e tecnici in generale, la DaD è stata una svolta impressionante e per molti persino un primo, forte, obbligato impatto con il digitale. La pandemia peraltro ha spazzato via quasi tutto ciò che rimaneva del vecchio mondo: i registri cartacei, simbolo di un’altra epoca, oggi non esistono più e nulla lascia pensare che verranno recuperati quando il contagio da coronavirus sarà un lontano ricordo.
Differenze digitali
La DaD non è uguale per tutti e questo non è un mistero. Troppe e grandi sono le differenze tra le diverse zone del paese, tra i gradi e gli indirizzi scolastici e persino tra scuole di una stessa città. Ci sono studenti che hanno possibilità maggiori rispetto ad altri, nuclei familiari che non possono permettersi la connessione a internet e gli strumenti adatti, istituti scolastici che riescono a supportare le famiglie garantendo l’utilizzo di risorse nella propria dotazione e altri invece non pronti a soddisfare le esigenze delle proprie platee. Lo Stato ha fatto la sua parte fin dalla prima fase, con il piano di solidarietà digitale che ha permesso di ridurre molte tra queste distanze, ma una vera equità manca e l’unica soluzione possibile è un serio piano di investimenti che dia lo stesso diritto alla connessione e all’istruzione a tutti gli studenti italiani coinvolti nella modalità a distanza. Certamente un modo migliore di spender soldi rispetto ai banchi con le rotelle di cui si sono anche perse le tracce.
Un altro problema di gran conto è l’età dei discenti. Anche se è impossibile formulare a tal proposito una legge universale, è evidente che l’efficacia della DaD e dei processi formativi a distanza sia legata al grado scolastico. Per quanto sia sempre preferibile la didattica in presenza per tutti, o almeno modalità integrate che non la escludano, gli studenti superiori hanno globalmente una maggiore capacità di autogestione davanti a uno schermo, una maggiore scolarizzazione digitale potremmo dire, rispetto ai bambini della scuola primaria o, peggio ancora, della scuola per l’infanzia. Per non parlare delle difficoltà dall’altro lato della cattedra e del computer: come si fa a insegnare le basi della lingua, della matematica, della storia e così via a bambini e ragazzini fino ai tredici anni? E a ben vedere, allargando lo spettro, è davvero così semplice insegnare a distanza le basi del greco antico a ragazzi di quindici? Le domande si moltiplicano e le risposte necessitano di uno studio e un’analisi che ancora mancano. In linea generale si potrebbe sin qui concludere che le scuole secondarie di secondo grado sono le più adatte, forse le uniche adatte, alla modalità a distanza, anche in fasi storiche meno pericolose, per così dire. E questo non perché si riconosca una funzione di baby-sitting alle scuole dei gradi inferiori, riprovevole idea che trova dimora in larga parte dell’opinione pubblica, bensì perché quelle determinate fasce anagrafiche hanno necessariamente bisogno della didattica in presenza.
Barriere digitali
Volenti o nolenti, lo schermo del computer è una barriera. Lo stesso strumento che consente una vicinanza impensabile in una fase storica in cui i contatti sono vietati, al contempo allontana. Un dato comune alle esperienze a distanza di questi mesi, ad esempio, è la riottosità degli studenti all’utilizzo della camera o persino del microfono: l’effetto alienante generato è rappresentato dai docenti che comunicavano con utenti senza volto, spesso senza neanche avere la certezza che qualcuno stesse a sentire. Le motivazioni alla base di questa scelta possono essere le più disparate: c’è chi ne approfitta per saltare la scuola in maniera sostanziale (ma non formale) e fare altro, senza dubbio, ma c’è anche chi condivide con altri membri della famiglia lo spazio utilizzato per la lezione a distanza e chi prova genuino imbarazzo nel condividere il proprio spazio privato. Difficile dargli torto. E infatti il Ministero e le scuole cercano in maniera balbettante di porre rimedio, invitando all’accensione della camera con formule a metà tra l’obbligo e il caloroso suggerimento, ma è davvero giusto che bambini e ragazzi vengano forzati da questo punto di vista? D’altro canto i docenti hanno il dovere di verificare la preparazione dei propri studenti ed è davvero arduo farlo in queste condizioni.
Diritti digitali
Diritto alla connessione ma anche alla disconnessione. Questo punto è essenziale perché investe il benessere, la salute e il tempo libero degli attori digitali: il problema infatti lega i docenti a tutti gli smartworker, a tutti i lavoratori agili. Una conseguenza terribile della DaD, e questo è noto a tutti, è la connettività perenne: niente più pause, niente più orari. I professori lavorano anche di domenica, perché studenti e famiglie si sentono autorizzati a coinvolgerli in qualsiasi momento nei propri dubbi, nei propri desideri, nelle proprie necessità e in qualsiasi cosa gli passi per la mente. Non basterebbe invocare simpaticamente un ritorno al cartellino: come sa bene chi è del mestiere, l’operato di un docente in epoca pre-covid non si esauriva mai al termine delle lezioni mattutine, anzi, la mole di lavoro al di fuori dell’orario ufficiale è sempre stata grande. Esistevano però dei limiti che oggi sembrano scomparsi. E la questione dei diritti non si arresta qui, ma investe la contrattazione, il rapporto con le dirigenze scolastiche e l’amministrazione, la bassa retribuzione, le tutele sindacali e tanto altro. Su questo fronte c’è ancora molto da dire e da fare.
Una cosa intanto sembra certa: la scuola è sopravvissuta e continua a sopravvivere grazie ai professori, la cui salute non sembra però cara a chi discute di aperture e chiusure senza tener conto delle effettive condizioni delle strutture scolastiche e della spiazzante facilità con cui il contagio si diffonde in luoghi per natura pieni di persone. Ciò nonostante, il senso di responsabilità nei confronti degli allievi, il senso del dovere e della solidarietà nei confronti di tutti gli altri lavoratori e dell’intera società, spronano ancora oggi e sempre gli insegnanti a svolgere il proprio lavoro nel miglior modo possibile. Riuscendoci puntualmente.
Articolo pubblicato anche su www.Faredigitale.org