La crisi all’interno del partito democratico aperta dalle dimissioni del segretario Zingaretti , ha trovato una rapida soluzione con l’elezione a segretario del partito di Enrico Letta, che così torna sulla ribalta della politica nazionale. Scelta a sorpresa quella dei Dem, per molti aspetti imprevista, tanto più che l’ex premier era lontano dalla politica da circa 7 anni, impegnato a vivere una nuova esperienza di vita a Parigi.

Dopo l’uscita da Palazzo Chigi Letta, aveva infatti scelto di lasciare del tutto la politica, decidendo, parole sue, di trovarsi un nuovo lavoro.

Tuttavia complice il grave momento vissuto dal partito che rischiava di sparire, vittima della sua ennesima crisi ed è stato naturale rivolgersi ad un suo vecchio / nuovo leader: vecchio perché ha avuto un ruolo nel passato anche del governo ma allo stesso tempo nuovo perché fuori da tanto tempo dai giochi della politica.
Diciamolo subito la nomina di Enrico Letta è a suo modo frutto del momento di debolezza della politica e della crisi che sta vivendo la figura del politico così come intesa nella sua accezione tradizionale: non a caso   è tornato al vertice del principale partito della sinistra un personaggio che non siede in parlamento e che allo stato era del tutto estraneo al partito.

Nomina avvenuta in tempi del tutto rapidi, evitando quello che era diventato un vero e proprio rito nella liturgia della nomina dei segretari del PD: vale a dire le primarie che nella circostanza sono state accantonate e tra parentesi non è detto che ciò sia un male ( visti i risultati non sempre positivi che hanno avuto).
Si badi non siamo al cospetto di un neofita della politica, inesperto delle “liturgie” del potere, ma di un ex Presidente del Consiglio, che una volta uscito da Palazzo Chigi, ha avuto la forza ed il coraggio di abbandonare il mondo politico, facendo nuove esperienze che lo hanno portato come già detto a cambiare radicalmente tipo di vita.

Per circa 7 anni Letta nipote, si è infatti trasferito a Parigi con un incarico dirigenziale presso l’istituto di studi politici comunemente conosciuto come Sciences Po, aprendosi prospettive che per una volta non sono apparse come la classica sistemazione per un pensionato della politica.
Nel corso del suo soggiorno Enrico Letta, ha potuto stringere contatti internazionali, oltre a dimostrare di non essere legato alla politica per sopravvivere e cosa più importante di potersi costruire con le sue forze un futuro.

L’aspetto più interessante nella scelta del nuovo segretario del Partito democratico è questo: ovvero una commistione tra un politico o meglio tra un ex politico che conosce il mondo in cui si sta affacciando ed un soggetto che viene dal mondo del lavoro meglio dal mondo accademico.
Insomma nel clima eccezionale di questi tempi, che impedivano lo svolgimento di un vero e proprio congresso e nel mezzo di una pandemia che dura da più di un anno , la scelta fatta dai Dem appare  come la migliore possibile.

Tanto più che sia pur a livello inconscio e concettuale, avvicina il partito alla concezione della politica che si ha nella società attuale e che tiene conto del clima di ostilità che da anni serpeggia nel nostro paese verso chi la pratica.
Al giorno d’oggi il politico c.d. “di professione” non esiste più, non viene visto con favore; il tutto con conseguenze non sempre positive in tema di governabilità e di risultati per il paese ed quindi positivo che vi sia al vertice del principale partito della sinistra colui che allo stato non parte come un politico, pur avendo esperienza alle sue spalle.

Molti hanno pensato che la scelta di accettare l’incarico di segretario del Partito Democratico, fosse da parte di Enrico Letta un grave errore, visto il clima di guerra e di lotta tra bande che si respira all’interno e visto anche il destino degli ultimi segretari.

E diciamo la verità la precedente “vita politica” del nipote di Gianni Letta qualche dubbio poteva farlo nascere, per un carattere poco decisionista secondo alcuni e per altri troppo “democristiano”.
Vale a dire troppo incerto e incline al compromesso, laddove il partito aveva bisogno di un rilancio con una guida sicura e legittimata, caratteristiche che il buon Enrico di ritorno dalla Francia ha dimostrato di avere.

Tanto per cominciare ha subito capito che il partito deve recuperare la sua vocazione maggioritaria, con un esplicito richiamo nel primo discorso al Mattarellum come legge elettorale, vale a dire al sistema che deve il suo nome all’attuale capo dello Stato e che aveva significato per il nostro paese avere una maggiore stabilità. Quello che in questo senso sorprende è che per la prima volta in modo concreto un leader di partito, si ponga il problema della governabilità del Paese, al di là di chi è il governo, ancora più sorprendente se si tiene conto del fatto che le ultime leggi elettorali sono state fatte nell’ottica di porre un freno all’avversario, senza pensare al Paese.
Altro aspetto rilevante che emerge dal suo discorso fatto il giorno dell’elezione è che il PD non deve essere condannato a governare, ovvero ad essere a tutti i costi al governo del paese perché così a lungo andare diventerebbe il partito delle poltrone, allentandosi forse definitivamente dal popolo della sinistra.
Tutti aspetti che presuppongono almeno a livello generale, una visione della politica e del paese a medio lungo termine, in poche parole non legata al consenso immediato e soprattutto non diretta a coltivare il proprio orticello, ma a guardare all’interesse del paese.

Importante saranno in tal senso le prime mosse che il neo segretario farà e la linea che imprimerà ai gruppi parlamentari; per dire se riuscirà ad imporre il ritorno al Mattarellum come legge elettorale all’agenda di Camera e Senato, sarà indice di un reale cambiamento.

Di sicuro va dato atto al nuovo segretario, di avere capito che il clima di stagnazione in cui versava il partito amplificato dalla nascita dell’esecutivo Draghi con la lega alleata di governo aveva amplificato, ponendo a serio rischio la natura e l’essenza del partito stesso.
Il rischio era quello di trasformarsi in forza neocentrista, in grado solo di assicurare la tenuta dell’esecutivo di turno, ma senza imprimere alcun segno tangibile, accontentandosi di una politica di sopravvivenza.

Questa è la vera linea di discontinuità con il passato, che certo poi dovrà tenere conto della linea di navigazione del governo e delle contingenze che saranno date dall’agenda politica quotidiana. Giusto però nel frattempo, cominciare a dare nuova linfa all’anima progressista del partito per troppo tempo sopita e che il clima che si respirava nell’esecutivo Conte, rischiava di annullare forse definitivamente, con richiami a temi quale lo ius soli, da sempre molto cari al popolo della sinistra. Chiaro che per il momento si tratta solo di mere intenzioni ma segnano un primo passo o meglio un anticipo di quella che vorrebbe la cifra della segreteria Letta.
Di sicuro va dato atto al segretario di aver capito, che la sfida può essere vinta solo con una discontinuità e con una maggiore attenzione ai temi della sinistra, che ovviamente non deve limitarsi ai semplici slogan ma deve essere fatta di provvedimenti concreti.
E’ altrettanto sicuro che la gestione del partito e le mosse di Letta, dovranno per forza di cose tenere conto della particolarità dell’esecutivo Draghi, composto da forze tra di loro in antitesi come lo stesso PD e la Lega, con una linea politica che sarà per forza di cose limitata.

Questa è la vera sfida, che sarà in essere almeno fino all’elezione del nuovo capo dello Stato: ovvero riuscire a mantenere in risalto la linea politica scelta, ma senza porre a rischio l’esistenza dell’esecutivo in carica.
Difficoltà, perché è chiaro che vi saranno contrasti con la Lega su tutti, ma allo stesso risulta evidente che senza una propria linea il partito rischia seriamente di sparire o nella migliore delle ipotesi di essere assorbito nella galassia dei partiti minori.

Il fatto che questa sensibilità venga da un leader che viene dall’universo della vecchia democrazia cristiana, che ha avuto l’intelligenza di capire che occorreva un cambio di passo per non essere risucchiato nei gorghi dell’anonimato è indice della reale caratura politica dell’uomo.
Altrettanto importante è che il nuovo segretario abbia in questa sua nuova avventura, la lucidità ed il distacco necessario per non farsi coinvolgere da tentazioni di rivalsa , verso chi lo aveva osteggiato in passato, non tanto per una questione di rapporti personali, ma perché alla lunga il conflitto in cui precipiterebbe , condizionerebbe anche la sua linea politica, con conseguenze anche per il partito e per il paese , mancando della necessaria obiettività.

L’esperienza parigina e la lontananza dalla politica sembrano aver fatto quindi bene al neo segretario, che appare diverso per ora solo nelle intenzioni, si oserebbe dire quasi trasformato rispetto al passato, ma il tempo è troppo poco per dare un giudizio definitivo sul personaggio. Ecco perché ha senso fino ad un certo punto parlare di ritorno in politica, visto il quadro politico che Letta ha in testa e tenuto conto delle sue prime dichiarazioni, ma piuttosto di un nuovo inizio.Quello che sorprende e fa riflettere in senso positivo ovviamente è che la scelta fatta appare non dettata da motivi di rivalsa o dalla smania di riproporsi su un palcoscenico che conosce, quanto quello di dare un contributo alla vita politica.

Di che ampiezza e in che ambito tale contributo sarà, ovvero Palazzo Chigi o anche perché no il Quirinale, questo sarà solo il tempo a dirlo , ma sin da adesso è chiaro che si tratta di una scelta convinta e ben ponderata ,con un progetto ben preciso : non è tutto ma è in ogni caso una base di partenza.

 

Fonte Foto: www.ilgiornale.it