Come mai non abbiamo notizie di ammalati gravi (da ricovero ospedaliero) nella grandissima comunità cinese di Prato e nelle altre comunità cinesi che vivono nelle periferie delle grandi città italiane? E’ una domanda che mi è stata rivolta da un caro amico e collega che vive a Perugia, area per ora incontaminata. Perché? E’ possibile che proprio i cinesi siano resistenti a questo virus? O che non si ammalino MAI di infezioni gravi delle vie respiratorie che elicitino un ricorso agli ospedali di zona? Ci ho pensato molto, ed alla fine ho concluso che le possibilità sono tre:

  1. I cinesi italiani non si ammalano di COVID-19, perché, in realtà quello che abbiamo trovato qui in Italia non è il COVID-19, ma una sua variante a cui i cinesi sono resistenti. Tesi che circola sul web sostenuta da qualche politico prestato alla pseudo-scienza, con intenti antigovernativi malcelati (non è il COVID-19 -> è un’altra cosa -> il governo non ha capito niente -> hanno sbagliato tutto);
  2. I cinesi si ammalano e muoiono, ma nel chiuso delle loro case e poi mandano i loro defunti in Cina surgelati in container, secondo una vulgata riportata da Saviano;
  3. I cinesi sono una comunità con altissimo senso civico e, con l’aria che tira (paura del contagio e razzismo anche a livello delle istituzioni), si auto-segregano in casa al primo starnuto, senza nemmeno porsi il problema se sia o no il COVID-19, ed evitano contatti con gli atri finché non stanno bene. Un’autodisciplina che potrebbe essersi rivelata vincente nelle loro comunità.

Chiederei a chi mi legge: quale di queste ipotesi è la più plausibile?

Bene, Io credo che la relativa protezione dei cinesi dipenda dal loro quasi ossessivo rispetto delle regole. Se le cose stanno come io penso, viene anche dimostrato un altro paradigma sul quale io insisto da giorni. Il livello di protezione più efficace è il livello individuale, alla condizione che vengano rispettati due presupposti:

  1. la massima prudenza in tutte le azioni quotidiane con il ricorso a mezzi di protezione, quando indispensabili, e a regole di igiene ferree fino ad essere ossessive;
  2. un grandissimo senso di responsabilità civica con il pensiero costante che la propria protezione passa attraverso la protezione degli atri (che riflette un template del pensiero di sinistra).

La verità è che fin dall’inizio dell’epidemia in Cina, la Regione Toscana e le autorità consolari cinesi hanno lavorato in modo coordinato, in modo da suggerire con determinazione a tutti coloro che rientravano dalla Cina una quarantena volontaria, che mi dicono sia stata anche attivamente sorvegliata. La comunità cinese pratese si è attenuta a queste disposizioni in modo teutonico, mostrando una disciplina ed un senso di responsabilità civica esemplari. Nella loro comunità, il COVID-19 è stato apparentemente fermato. E non è un caso isolato. Mi arrivano segnalazioni anche da Milano e persino dal Canada (1 milione di cinesi a Toronto!) dove gli studenti cinesi tornati ad inizio gennaio si sono auto-isolati, anche quando privi di sintomi.

Bene, questo dimostra che, più che le misure isteriche prese in molti contesti locali (e secondo me mirate anche a mettere in difficoltà il governo), il più efficace metodo di controllo dell’epidemia è individuale. Bisogna avere accortezza e senso di responsabilità civica. Però è legittimo dubitare che queste caratteristiche siano tanto diffuse tra i nostri concittadini quanto nelle comunità cinesi. E’ di pubblico dominio la notizia di concittadini meridionali migranti verso il sud dalla zona rossa per raggiungere le loro famiglie, e sfuggiti alle maglie del controllo, o dei 18 cittadini di Codogno denunciati per essersi allontanati dalla zona rossa, o ancora del cittadino di Codogno scappato a Firenze, fermato e riportato a casa. Ho almeno 3 amici rientrati dalla zona rossa in differenti contesti e città del centro-sud che hanno avuto “forti raffreddori” entro un lasso di tempo compatibile con l’incubazione presunta del COVID-19 e che se la sono autogestita, in due casi a casa per un periodo di tempo compatibile con l’evoluzione di un raffreddore comune, ed in un terzo invece in libertà, in giro tranquillamente (in modo imprudente, a voler essere buoni). Insomma, una parte della diffusione del contagio potrebbe essere nostra responsabilità.

Che fare? Possiamo riportare tutti a scuola per un corso accelerato di educazione civica, magari tenuto dai cinesi? Non credo. Ci sono però delle cose che il Governo può e secondo me dovrebbe fare.

Prima di tutto occorre ricordare in modo martellante, anche utilizzando molto meglio la televisione, che allo stato attuale delle conoscenze, ci sono condizioni che RICHIEDONO l’allerta IMMEDIATO. Queste condizioni, ora riconosciute anche dal Center for Disease Control di Atlanta (figura) sono:

  • i casi di possibile influenza proveniente da “aree a rischio”;
  • infezioni acute delle vie respiratorie anche non gravi in chi ha avuto contatti nei 14 giorni precedenti con casi confermati o con strutture sanitarie che ricoverano pazienti Covid-19 o abbiano soggiornato in aree epidemiche;
  • infezioni acute delle vie respiratorie gravi, indipendentemente dalla storia di viaggi.

Un’altra cosa che il Governo dovrebbe mettere in atto è una forte e martellante campagna di sensibilizzazione per spingere la gente ad auto-confinarsi, quando il raffreddore o la sindrome influenzale fossero associate a viaggi o contatti a rischio.

Bisogna che il Governo continui ad imporre una totale uniformità di comportamento in tutti i contesti, anche a costo di limitare, ricorrendo ad elementi legislativi urgenti, l’autonomia delle Regioni.

Image by Pete Linforth from Pixabay

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Giovanni de Simone
Già Professore Ordinario di Medicina Interna, Università Federico II di Napoli; Già membro dello Statistic Committee dell’American Heart Association. Professore Associato di Medicina, Cornell University Medical College, New York, USA; Presidente del Council on Hypertension dell'European Society of Cardiology. Editorialista per diverse testate on line, ha scritto anche per Repubblica ed il Corriere.